Autore: Simone Macchi

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La memoria: come performare al meglio nelle occasioni che contano.

Vuoti di memoria: ADDIO!

Oggi l’introduzione vogliamo affidarla ad una premessa molto importante, essenziale.

Tutto quello che troverai all’interno di questo articolo è solo una piccola parte di un argomento molto più vasto e ampio. Le tecniche di memoria e i metodi di studio sono argomenti molto trattati, specialmente negli ultimi anni, non credere a chi proverà a venderti soluzioni immediate, semplici, scorciatoie prive di alcun fondamento.
Questo può essere il momento in cui inizierai ad entrare in un mondo incredibile, fatto al tempo stesso di creatività e divertimento, oltre che di grande impegno e allenamento.

La lettura di questo articolo aprirà una piccola porta di un immenso mondo.

Te la senti di iniziare l’esplorazione?

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Stavamo quasi per dimenticarci un’informazione molto importante.
Rimani sempre connesso sui nostri canali, c’è una sorpresa per te!

Lo so, lo so, vorresti saperne di più, ma, si sa, le cose belle vanno svelate un po’ per volta.

Al momento, possiamo anticiparti solo una cosa: tutti gli argomenti della sezione “crescita personale”, saranno oggetto di un ulteriore approfondimento. Questa volta, però, non ci limiteremo ad articoli mirati, bensì realizzeremo un vero e proprio viaggio che ti permetterà di entrare ancor più nel profondo all’interno di questi temi.

Quando succederà? Presto potremo dirti di più.

Bene, tutte le premesse sono terminate. Ora è davvero arrivato il momento di iniziare. VIA!

indice
  • 1. La paura dell’oblio: dall’ordinare la pizza al parlare in pubblico

  • 2. La memoria, o meglio le diverse tipologie di memoria

  • 3. PAV, Loci Ciceroniani e il Palazzo della Memoria

  • 4. La memoria e i colloqui di lavoro

  • Cosa troverai in questo articolo

    Tips pratiche per aumentare la tua autostima e migliorare le tua capacità di comunicare in pubblico. 

  • Cosa non troverai in questo articolo

    L’ennesima fake news da bar per laurarti in cinque differenti materie contemporaneamente.

1. La paura dell’oblio

Chi di noi non ha mai provato quella terribile sensazione di terrore, imbarazzo puro, immaginandosi balbettante e indeciso davanti ad una platea in trepidante attesa?

Non facciamo anche noi l’errore, di partire dalla fine della storia. Può funzionare con qualche film di Nolan, ma per oggi, seguiamo un ordine più “logico”. Riavvolgiamo il nastro.

Ti è mai capitato di sentirti a disagio prima di una telefonata, magari per ordinare la cena? Se non ti è mai accaduto direttamente, quasi sicuramente, conoscerai quell’amico o amica, terrorizzato/a dall’idea di parlare al telefono per ordinare le pizze per la cena.

“Ma stai scherzando? Non chiamerò mai io il ristorante. E se poi durante la chiamata mi dimenticassi completamente l’ordine?”

Bene, a mente lucida, tutti sappiamo che, per ovviare a questa eventualità, sarebbe sufficiente appuntarsi l’ordine su un foglietto, ma dopo aver letto i nostri articoli, avrai imparato che, il più delle volte, non si tratta di un qualcosa di RAZIONALE. Ebbene sì, torniamo ancora una volta lì, alle nostre emozioni, alla necessità di conoscerle, ri-conoscerle, coccolarle, comprenderle, ascoltarle, al fine di renderle nostre alleate.

Facciamo un passo avanti, più attinente alla vita lavorativa: ci viene affidata una presentazione, uno speech da compiere alla prossima riunione trimestrale.

Quanti, subito dopo aver esultato per aver ottenuto il ruolo di speaker e per l’orgoglio dell’incarico, sentono improvvisamente le gambe molli, il cuore in gola e il sudore freddo lungo la schiena?

“E se poi mi blocco davanti a tutti? Ma che figura ci faccio! Potrei fare così: mi scrivo tutto su un foglio e leggo anziché improvvisare!”

O ancora:

“Scrivo tutto nelle slide, in questo modo se mi trovassi in difficoltà, mi ritroverei tutto scritto eh…”

Pessime strategie!

In entrambi i casi, possiamo ridurre le probabilità di andare completamente in blocco (oltre che imparando a gestire le nostre emozioni), anche strutturando la preparazione dell’ intervento grazie a metodi collaudati, in modo da non dover più pensare al problema della memoria.

La soluzione la troverai all’interno di questa pagina e (come ti avevamo anticipato nel precedente articolo) sarà tutta una questione di METODO!

Ne esistono diversi che possono aiutarci nelle situazioni che ci troviamo ad affrontare ogni giorno.

Prendiamo in prestito le parole di Giulio Deangeli, medico e ricercatore in ambito neuroscientifico.

Nel suo libro “Il metodo geniale”, il dottor Deangeli racconta come sia riuscito a portare a termine cinque percorsi universitari, in sei anni, con la media del 30. Sì, nel caso in cui te lo stessi chiedendo, CONTEMPORANEAMENTE.

Penserete che questa sia una bufala letta sul web, una di quelle fake news da bar per incentivare i più piccoli a studiare senza sosta. E invece è una storia vera, documentata e raccontata e ha come perno principale il concetto di METODO.

Ora, lo scopo di questo articolo non è quello di procedere per pura emulazione, ci mancherebbe, non ti stiamo promettendo di riuscire a laurearti in cinque differenti materie nell’arco di sei anni, piuttosto, il nostro obiettivo è quello di infonderti una maggior consapevolezza, oltre a fornirti qualche tips pratica come siamo soliti fare, per aiutarti ad avere maggior stima e fiducia della tua memoria e per performare al meglio nelle occasioni che contano.

È arrivato, quindi, il momento di dire basta alla paura legata all’ oblio, è arrivato il momento di superare le incertezze derivanti da traballanti interrogazioni liceali o, ancor peggio, da traumi universitari mai superati.

C’è solo una regola, sentirsi dei novelli Sherlock Holmes, quindi occhi aperti, orecchie tese e mente focalizzata, oggi faremo il primo passo per rivoluzionare la nostra memoria.

  • Cosa ho appreso:

    Le emozioni influenzano la nostra memoria e le nostre performance, ma grazie ad un metodo collaudato, posso ridurre il rischio di blocco.

  • Falsi miti:

    La memoria è una questione di dote naturale. O la possediamo da quando siamo piccoli, quindi siamo degli ottimi memorizzatori, oppure non possiamo pensare di migliorarla e allenarla.

2. Le differenti tipologie di memoria

Immagina di trovarti seduto alla tua scrivania e di ricevere una chiamata: la tua proposta di partecipazione al TedX di Gotham City è stata accettata.

Con tutta probabilità, il classico terrore da palcoscenico è già lì, dietro l’angolo; questo non compare necessariamente solo in occasione di grandi eventi, potrebbe presentarsi anche per una “semplice e banale” presentazione, o durante un colloquio di lavoro.

Per poter ridurre il rischio di pensieri depotenzianti, tipici prima di un grande evento, dobbiamo sicuramente lavorare sulle nostre emozioni, MA, e questa volta è un gran bel ma, possiamo anche agire sul grande capitolo della memoria.

Memorizzando correttamente (e senza particolare sforzo) le informazioni di cui abbiamo bisogno, potremmo sentirci tranquilli sul fatto che, anche nei momenti peggiori, avremo un’ancora alla quale aggrapparci e che ci terrà stabili.

Partiamo rispolverando il concetto di memoria.

È molto probabile che, almeno una volta nella tua vita, tu si sia imbattut* nel paragone tra la memoria umana e quella del computer.

Ci permettiamo di dissentire. La memoria umana non può essere paragonata a quella di un computer.

Prova ad immaginare quanto segue: vivi dopo anni uno dei concerti più emozionanti e avvincenti della tua vita. È appena iniziata l’Intro di quella canzone, la canzone che ascolti sin da quando frequentavi le scuole elementari. Improvvisamente, schermo nero e scritta in sovraimpressione:

Memoria insufficiente. Sostituire scheda!

Ebbene, fortunatamente, non corriamo questo rischio.

La memoria umana è uno dei meccanismi più complessi e straordinari presenti in tutto l’universo.

Impossibile anche solo pensare di immaginare il funzionamento di uno strumento elettronico che possa replicarne il funzionamento.

La memoria umana non è unica, o meglio, ne esistono diverse tipologie.

Prendiamo in prestito (ancora una volta) le parole del dott. Deangeli, sopracitato, sempre dal suo libro Il metodo geniale, chi meglio di un medico esperto in neuroscienze può aiutarci a capire che cosa sia la memoria e quali tipologie di memorie esistano:

MEMORIA ESPLICITA O DICHIARATIVA : tutto ciò che può essere raccontato a parole, come i fatti della nostra vita (memoria episodica) o le nozioni che abbiamo studiato (memoria semantica).

MEMORIA IMPLICITA : non esprimibili verbalmente, come andare in biciletta (memoria procedurale) o, saper leggere allo specchio (memoria percettiva) e tante altre.

Alla luce della presenza di differenti memorie e del numero esorbitante di informazioni che si trovano ad analizzare e processare ogni istante della nostra vita, ecco un piccolo consiglio: se il tuo scopo è quello di ricordare quanto più possibile dal testo che ti trovi davanti, sia esso un articolo di giornale, un libro, un riassunto, una presentazione, EVITA sempre di porti passivamente davanti al testo limitandoti a leggere. Poniti quindi in modo ATTIVO, cerchia le parole chiave, schematizza, rielabora, crea una mappa mentale.

Non è tutto, oltre al porsi in maniera attiva, cerca di essere, quanto più possibile, creativo. Ma questa… è un’altra storia… e la scopriremo tra poco.

  • Cosa ho appreso:

    Esistono differenti tipologie di memoria. Il cervello, in ogni istante, elabora e sintetizza un numero incredibile di informazioni, per fissare qualcosa nei nostri ricordi, è necessario sforzarsi di porsi in maniera ATTIVA e CREATIVA nei confronti della materia che stiamo analizzando.

  • Falsi miti:

    La nostra memoria funziona come quella di un computer, basta prendere l’informazione e cacciarla a forza in qualche cartella stipandola per bene.

3. PAV, Loci Ciceroniani e il Palazzo della Memoria

L’errore nel quale incorriamo sin da quando siamo studenti, non per “colpa” nostra o dei nostri insegnanti, bensì per un problema più generalizzato e, azzarderemmo, “culturale”, è cercare di inserire le informazioni all’interno del nostro cervello solo per ripetizione.

Leggo, leggo, leggo, poi ripeto una volta.

In realtà, le neuroscienze ci insegnano ben altro.

Limitarsi a leggere in modo passivo, e magari ripetere una sola volta, le informazioni che troviamo scritte sui libri, paper, dispense, senza rielaborare quanto letto, è una strategia improduttiva. Rischiamo quindi di ritrovarci a leggere per ore e poi trovarci qualche minuto dopo con una gran confusione in testa e incapaci di riportare in modo chiaro le nozioni.

Il primo consiglio che ci sentiamo di condividere con te, utilissimo al fine di aumentare il tasso di ritenzione delle pagine macinate è, appunto, quello di rielaborare in maniera ATTIVA e CREATIVA quanto appena letto.

Ma cosa si intende per rielaborazione attiva e creativa?

All’interno di questo articolo vedremo due metodi molto importanti al fine di migliorare le nostre capacità mnemoniche e scrivere indelebilmente (o quasi), grazie ad un costante allenamento, le informazioni nella nostra mente.

1) Tecnica PAV

2) Tecnica dei Loci Ciceroniani

1) Tecnica PAV

La tecnica PAV consiste nel memorizzare le informazioni con una modalità che potrebbe sembrarci inizialmente un po’ folle e controintuitiva.

Le lettere P, A e V, stanno per:

PARADOSSALE

ATTIVO

VIVIDO

Cerchiamo di spiegarle meglio.

Quando cerchiamo di memorizzare un’informazione, ci limitiamo a prenderla, comprenderla (se ci troviamo nel giusto mood) e ripeterla. Questa però potrebbe essere paragonata ad un post-it vecchio, quando la colla inizia ad essere debole e usurata.

Ciò significa che, dopo pochissimo tempo, l’informazione memorizzata inizierà a sbiadire, ancora e ancora, sempre di più, fino a scomparire, rimpiazzata da altre appena immagazzinate.

Una strategia, non l’unica sia chiaro, per ovviare a questo inconveniente, è quella di creare delle immagini che colpiscano i nostri sensi, abbiano quindi lo scopo di accendere la nostra immaginazione, accarezzare la nostra fantasia. Ad essere sinceri, le mnemotecniche sono efficaci nella memorizzazione di: liste (parole talvolta prive di connessioni logiche), numeri (tutti sappiamo quanto sia stato difficile memorizzare un gran numero di date per esempio) ed eponimi (quelle scoperte che prendono il nome dallo scopritore).

Le immagini che creiamo nella nostra mente devono seguire alcune semplici regole, dovrebbero essere quanto più possibili:

  • Paradossali: fuori dall’immaginario personale e collettivo, non convenzionali, staccate da regole logiche e fisiche, proprio perché, solo in questo modo, potremmo incuriosirci e rendere l’immagine stessa eterna.

  • Attive: quanto più un’immagine sarà attiva, in movimento, lontana dal classico concetto di staticità, quanto più questa rimarrà impressa nella nostra memoria.

  • Vivide: viviamo il nostro ricordo e la nostra immagine con tutti i nostri sensi, coloriamola, doniamole un colore, un odore e così via. Usa i cinque sensi.

Creare immagini fuori dall’immaginario collettivo, attive e molto vivide, ci aiuterà a rendere il ricordo indelebile.

La stessa informazione, se anziché essere immagazzinata passivamente verrà rielaborata con queste principali regole, sarà ricordata con maggiore efficacia e divertimento.

Perché non provi anche tu?

2) Loci Ciceroniani e Palazzo della Memoria

Marco Tullio Cicerone, uno dei più grandi oratori che la storia ricordi, croce e/o delizia per studenti del liceo classico e scientifico, era in grado di tenere discorsi infiniti senza mai ritrovarsi a dire “Dove ero arrivato? Cosa devo dire ora?”

Ma come è possibile?

Come faceva un uomo come lui, appartenente a tutti gli effetti all’antichità, ad essere in grado di fare una cosa del genere, pur sprovvisto di tutti gli strumenti tecnologici e all’avanguardia che possediamo noi oggi?

Un giorno, a teatro, ci trovammo ad assistere ad uno spettacolo inaspettato. Il titolo prometteva molto bene, PRODIGI.

Vanni de Luca, illusionista matematico, calcolatore umano, mentalista, riuscì a risolvere il cubo di Rubik, scrivendo al contrario, recitando a memoria un canto della Divina Commedia scelto liberamente dal pubblico (lo stesso numero è documentato nel TedX di Genova, lo trovate tra i materiali suggeriti al termine dell’articolo). Trucchi? Neanche l’ombra.

Come fa a fare tutto questo?

Sherlock Holmes, personaggio immaginario ideato da Sir Arthur Conan Doyle, dotato di una memoria fuori dal comune e da doti apparentemente soprannaturali. Riesce a ricordare qualsiasi informazione abbia immagazzinato, oltre ad avere capacità fuori dal comune.

Un personaggio dell’antichità, un personaggio odierno e un personaggio inventato. Cosa potranno mai avere in comune tutte queste figure? Indovina un po’?

METODO

La seconda tecnica che analizzeremo è proprio quella tecnica nota come Loci Ciceroniani.

Per descriverla, prenderemo in prestito le parole dello stesso Vanni del Luca nel suo libro Prodigi:

“Normalmente i ricordi vengono posti in maniera casuale all’interno della nostra fitta rete di associazioni, e risulta quindi fondamentale depositare ogni informazione in un apposito scaffale mentale”.

E poi prosegue: “Il metodo consiste nel ricreare con la propria fantasia dei luoghi familiari e facili da richiamare alla mente, per poi collocare in quei luoghi le immagini PAV che rappresentano ciò che si vuole ricordare”.

Una fusione tra i due metodi analizzati.

In sintesi, ognuno di noi ha stampati, nella propria memoria, dei percorsi che compie ogni giorno: il tragitto che compie per andare a lavorare, la strada che percorre ogni sera per portare il cane, le salite e le discese che faceva quando era piccolo per andare a casa dei propri amici.

Il cuore della tecnica consiste nel ripercorrere mentalmente quella strada conosciuta alla perfezione e inserire, in corrispondenza di specifici luoghi lungo il cammino (chi ha un passato da gamer potrebbe definirli anche checkpoint) come una scalinata, un campo da tennis, una fontana, un palazzo particolare, delle immagini costruite con il metodo PAV.

L’insieme dei singoli luoghi selezionati dove collocare le immagini creative, prende il nome di PALAZZO DELLA MEMORIA.

Come vedi, tutto ciò che ci sta attorno può diventare un palazzo della memoria, tutto ciò che abbiamo vissuto fino ad oggi può, potenzialmente, aiutarci a memorizzare qualsiasi tipo di informazione.

  • Cosa ho appreso:

    Grazie all’utilizzo di tecniche collaudate come il PAV e i Loci Ciceroniani, posso aumentare enormemente la quantità e la qualità delle informazioni immagazzinate.

  • Falsi miti:

    Per memorizzare un’informazione devo leggere e ripetere il maggior numero di volte.

4. La memoria e i colloqui di lavoro

In poco più di 5 minuti abbiamo fatto un viaggio, abbiamo iniziato a guardare da lontano il mondo delle neuroscienze e aperto una piccolissima porta nel mondo delle tecniche di memoria.

Ma come possiamo mettere tutto questo in pratica nella vita di tutti i giorni?

Proviamo a ripercorrere tutto il nostro viaggio partendo da una situazione reale.

Un colloquio di lavoro, per esempio, ma anche una presentazione davanti al team o a un tuo cliente.

Come abbiamo accennato precedentemente, è necessario ricordare che, molto spesso, il problema non sta tanto nella memoria in quanto tale, bensì nella nostra scarsa pratica nella gestione delle emozioni connesse ad eventi che riteniamo importanti e cruciali per il nostro futuro.

La paura di parlare in pubblico (a proposito di memoria. Ti ricordi? Ne abbiamo già parlato in questo articolo) può portare, come magari ti sarà già capitato di provare sulla tua pelle, a dei veri e propri vuoti di memoria, momenti di oblio momentanei, salvo poi scomparire al superamento dell’evento fonte di stress.

Oltre ad una gestione emotiva funzionale all’evento in corso, è importante affinare e implementare i suggerimenti visti fino a questo momento, in maniera tale da combattere ansia e stress con lo strapotere della tecnica.

Quando vi trovate a dover preparare un colloquio di lavoro (lo stesso vale per una presentazione, uno speech o una qualsiasi altra occasione di public speaking) ricordati del caro vecchio Cicerone.

Ecco cosa fare:

  • Innanzitutto, in fase preliminare, metti a fuoco l’obiettivo e i contenuti che intendi condividere durante l’intervento.

  • A questo punto, indipendentemente dal fatto che si tratti di una presentazione sull’andamento trimestrale del nuovo prodotto o di quel capitolo che proprio non ti entra in testa, metti ordine nella tua mente.

  • Seleziona un percorso a te familiare e seleziona i punti chiave nel percorso, delle tappe obbligate con segnali distintivi inequivocabili.

  • Crea delle immagini connesse al contenuto che vuoi esporre e che siano quanto più paradossali, attive, vivide possibili.

  • Ci permettiamo noi di aggiungere, DIVERTITI. Troppo spesso sottovalutiamo il potere del divertimento e della felicità nell’apprendimento.

  • Fissa i punti nella tua mente e fanne una storia indimenticabile; questo, ti permetterà di non avere problemi anche nel caso in cui il tuo interlocutore decidesse di interromperti. Sai esattamente dove ti trovi nel tuo viaggio, sai cosa viene prima e sai cosa viene dopo, ripartire, approfondire, aggiungere informazioni sarà un gioco da ragazzi per un top player della memoria come te.

  • Fai pratica divertendoti e ripensando alle immagini un po’ folli che hai deciso di creare.

  • Ultimo, ma non ultimo, abbi fiducia sempre in te stesso e nelle tecniche che utilizzi.

Dimentica frasi come: “Ho una pessima memoria, non ricordo mai nulla di quello che leggo”, se fino ad oggi è stato così, è stato solo perché non hai mai avuto un metodo. Di seguito troverai la bibliografia essenziale per approfondire l’argomento.

Da oggi, hai fatto il primo passo per cambiare la tua storia.

Statisticamente, la maggior parte della popolazione italiana, nel mese di agosto si alterna tra grandi passeggiate in montagna e tuffi fragorosi in mare; goditi i momenti di vacanza come pausa da lavoro o studio, ma ricordati, da oggi in poi, ogni strada che percorrerai, ogni sentiero che attirerà la tua curiosità, potrebbe diventare un nuovo palazzo da costruire nello strumento più straordinario mai concepito nella storia dell’universo, la tua mente!

Fonti per approfondire gli argomenti trattati:

Deangeli Giulio – Il metodo geniale
De Luca Vanni – Prodigi
Salvo Matteo – Il segreto di una memoria prodigiosa

Vanni De Luca | Video TEDxGenova | Trova il tuo metodo


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DIGITALMANTRA - Blog - Crescita personale - Come raggiungere il proprio benessere digitale senza “rinchiudersi” in un tempio buddhista - Anteprima

Come costruire il proprio benessere digitale senza “rinchiudersi” in un tempio buddhista.

La digitalizzazione è necessaria, ma servono regole e autocontrollo se vuoi raggiungere il benessere digitale.

Noi siamo quelli del marketing e della meditazione, è vero. Ma esiste un modo oggi, nell’era della digitalizzazione, per ritrovare un sano equilibrio interiore e raggiungere il proprio benessere digitale senza ricorrere a pratiche estreme di isolamento. Iniziamo, dunque, il nostro articolo con una buona notizia: non occorre prenotare un biglietto di sola andata per l’oriente alla ricerca di sé stessi.

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DIGITALMANTRA - Blog - Crescita personale - Come raggiungere il proprio benessere digitale senza “rinchiudersi” in un tempio buddhista - Detail

Viviamo nell’era digitale, viviamo nel futuro!

La velocità esponenziale con cui l’innovazione tecnologica progredisce ci sta proiettando in un mondo che fino a pochi decenni fa apparteneva unicamente al dominio della fantascienza.

indice
  • 1. Introduzione: “Back to the Future!”

  • 2. La parola all’esperto: Smartphone “Love & Hate!” (Ovvero, croce e delizia degli italiani)

  • 3. Consigli pratici: Il benessere digitale

  • 4. Conclusione: “Una app?!” – Contraddizione o soluzione?

1. Introduzione: “Back to the future!”

Chi non ricorda le gesta di Michael J. Fox e Christopher Lloyd, rispettivamente Marty McFly e il mitico “Doc”, lo scienziato bislacco Emmet Brown, nella pellicola di Robert Zemeckis del 1985? Chi non sa di cosa stiamo parlando è pregato di abbandonare questa pagina… (scherziamo ovviamente!)

Scherzi a parte, facciamo un esercizio divertente: per chi come noi, è appassionato del genere sarà tutto più facile (poi capirete perché).
Facciamo finta di essere a bordo della mitica DeLorean, la macchina del tempo attraverso la quale i due protagonisti scorrazzano avanti e indietro negli anni tra passato e futuro. Per cominciare il nostro viaggio impostiamo “il timer” indietro di 200 mila anni. Ebbene, ci ritroveremmo nell’era in cui la specie Sapiens ha mosso i primi passi. Se di colpo volessimo andare a vedere la nascita della civiltà umana invece, dovremmo fare un enorme salto in avanti, poiché è nata circa 12 mila anni fa. E se ancora volessimo andare a vedere quando l’uomo ha iniziato a lavorare i metalli per produrre i primi utensili, dovremmo fare un altro balzo in avanti di altri 6 mila anni. Per vedere la prima ruota altri 2 mila anni e infine per trovare le prime forme di comunicazione scritta dovremmo fare un ulteriore scatto spostandoci nella timeline di un altro millennio. Pensate invece che se volessimo vedere nascere il world wide web, basterebbe andare indietro nel tempo di soli 50 anni. Da allora poi, abbiamo sviluppato negli ultimi due decenni la tecnologia mobile e oggi, addirittura, ci troviamo a contemplare la possibilità di creare un mondo virtuale a nostra immagine e somiglianza:

il metaverso !

“Accidenti!” – qualcuno potrebbe pensare – “ma allora era meglio fermarsi e smetterla di viaggiare nel tempo…”, ma al di là delle banali disquisizioni (della serie: “si stava meglio quando si stava peggio” ) e delle considerazioni etiche e sociologiche, c’è poco da dire: il digitale ci ha permesso un salto evolutivo (in termini tecnologici e di funzionalità) senza precedenti!

Infatti, ci garantisce una possibilità che i nostri avi hanno solo potuto immaginare o romanzare (proprio come il buon vecchio Robert quando ha girato Ritorno al Futuro). Oggi, infatti, possiamo connetterci a persone, contenuti e servizi, al di là dei vincoli di spazio e tempo… fino a qualche anno fa era roba da fantascienza davvero!
Col Covid poi, questa grande opportunità è stata per molti una vera e propria salvezza, una specie di nostra Arca di Noè (in cui però ci siamo potuti stare tutti!).

E, infatti, abbiamo iniziato a sfruttare tutti il digitale, e per ogni cosa, fino a coprire quasi ogni sfera dell’attività umana…

  • Cosa ho appreso:

    Il progresso tecnologico degli ultimi due decenni ci ha permesso un salto evolutivo senza precedenti.

  • Falsi miti:

    Si stava meglio quando si stava peggio.

2. La parola all’esperto: Smartphone “Love & Hate!” (Ovvero, croce e delizia degli italiani)

Ora concentriamo la nostra attenzione sul dispositivo più amato e al tempo stesso odiato dagli italiani: lo smartphone!

Sono loro i protagonisti di questo articolo, l’icona del processo di trasformazione digitale. Proviamo, dunque, a vedere come si sono diffusi e come ne è cambiato l’impiego in soli 14 anni dal loro avvento.
Nel 2016, dopo solo 8 anni, il 62% degli italiani ne possedeva almeno uno. Nel 2021 siamo arrivati al 97%.

Il tempo medio di utilizzo giornaliero nel 2008, era intorno ai 20 minuti, nel 2016 è salito a circa 3 ore e, nel 2021, più o meno 4 ore e un quarto. Certo, dal 2008 ad oggi l’incremento di applicazioni e la varietà di modalità di utilizzo sono aumentati a dismisura e di pari passo sono cambiate radicalmente anche le nostre abitudini. Le attività della nostra quotidianità che vengono mediate da questo device, infatti, hanno modificato profondamente la nostra vita. Mentre prima veniva impiegato principalmente per chiamate, messaggistica, e fruizione multimediale (musica, foto e video), per il gaming e per i social, oggi, invece, lo usiamo per effettuare acquisti online su siti e applicazioni di e-commerce, per consultare i nostri conti correnti, per navigare e aiutarci a trovare strade e a raggiungere le nostre mete, per migliorare il nostro stato di salute attraverso applicazioni e servizi di health and fitness, per memorizzare e gestire i nostri appuntamenti, per viaggiare e acquistare servizi di trasporto, per effettuare meeting in streaming e fare video conferenze e molto altro… Insomma, ce n’è davvero per tutti i gusti. Questi dispositivi hanno avuto una diffusione capillare ed hanno modificato radicalmente la struttura e il funzionamento della società, nonché l’esperienza quotidiana delle persone: è davvero cambiato tutto e, per di più (come abbiamo constatato nel nostro “viaggio nel tempo”), in pochissimo tempo rispetto alle altre grandi rivoluzioni tecnologiche che hanno segnato la storia della nostra civiltà.

Naturalmente ci siamo interrogati rispetto alle capacità di apprendimento e adattamento delle persone in relazione al tempo e alla capacità umane fino ad oggi note. Abbiamo deciso di rivolgere quindi alcune domande ad un esperto: Mattia Minzolini, Dottore in Psicologia specializzato in Benessere ed Empowerment Psicologico, professionista nell’ambito delle Psicotecnologie e della Psicologia Sportiva.

Ecco cosa ci ha raccontato e quali sono state le sue parole a riguardo: «Ogni cambiamento rappresenta per l’essere umano un processo di apprendimento e adattamento. Esistono delle funzioni regolative nell’uomo, in termini biologici, psicologici e sociali, che supportano tali processi, che si attuano ergonomicamente solo in presenza di risorse e tempi ottimali. Ognuno di questi processi, in primis, non è detto che avvenga con successo e, spesso, non ha un andamento lineare ma, piuttosto, può essere meglio descritto da una curva».

Ora, rispetto al cambiamento di cui stiamo parlando, la digital transformation, come siamo messi? In quale fase della curva siamo?

Ce la stiamo facendo?

«In effetti non proprio» – prosegue Mattia – «parebbe anzi che siamo nella sezione deflessa della nostra curva di apprendimento e adattamento. La ricerca ci dice, per esempio, che trascorriamo circa il 28% della nostra giornata da svegli con lo smartphone in mano, lo sblocchiamo 221 volte al dì, riceviamo una notifica ogni tre minuti e lavoriamo ogni giorno due ore in più per recuperare il tempo perso sul device».

Insomma, un trend d’utilizzo non proprio equilibrato…

Ma cosa comporta tutto ciò?

«Innanzitutto, questi dati ci suggeriscono una relazione d’uso morbosa: l’interazione intensiva con lo smartphone ci ha portato a sviluppare un attaccamento affettivo, che non c’entra con le sue funzionalità utilitaristiche. Si pensa che questo legame sia finalizzato a trovare conforto e rassicurazione di fronte ai vissuti spiacevoli che possono capitare nella nostra quotidianità, per esempio quando siamo annoiati o stressati. La natura problematica di questo rapporto si manifesta con sintomi di disagio e angoscia che sperimentiamo nei momenti in cui il dispositivo non è accessibile: tale condizione è chiamata “no-mobile-phobia” o Nomofobia».

«Un altro tema rilevante – continua il nostro esperto – è quello dell’innalzamento dei nostri livelli quotidiani di stress a seguito di una così pervasiva esposizione allo smartphone. Gli stimoli e le richieste continue che arrivano dal nostro apparecchio, banalmente attraverso la marea di notifiche che riceviamo ogni giorno, portano a un rapido esaurimento della disponibilità cognitiva dell’utente, causando forme particolari di born-out definite come “technoexhaustion” (puoi approfondire questo argomento leggendo l’articolo precedente). Da sottolineare che tali livelli di stress vanno spesso a compromettere il nostro sonno e relax, causando un circolo vizioso in cui non riusciamo mai a rirpristinare completamente le nostre risorse, trovandoci a vivere così in condizioni di sforzo cronico».

Siamo certi che giunto a questo punto, anche tu starai rivivendo e visualizzando scene che ti riportano alla memoria situazioni di disagio vissute in prima persona o legate ai racconti di amici, conoscenti e parenti. Già, perché la proprietà magnetica con cui lo smartphone assorbe la nostra attenzione e l’importante ruolo di mediazione che sta assumendo nei confronti delle nostre relazioni sociali, ci sta portando a modificare drasticamente la dimensione interpersonale con evidenti ripercussioni. Per esempio, oggi si parla di phubbing, quel fenomeno dilagante nel quale stiamo al telefono mentre siamo in compagnia di altre persone, indicatore di una crescente difficoltà degli individui nell’impegnarsi a interagire con gli altri, preferendo la sicurezza delle relazioni a distanza.

Altro aspetto da non sottovalutare, è l’impatto diretto sulla nostra salute fisica. Con il termine Text Neck si fa riferimento al corollario di effetti dovuti alle continue sollecitazioni del corpo causate dall’utilizzo pervasivo dei dispositivi mobile, come per esempio la classica postura di chiusura anteriore che assumiamo quando siamo chini sul nostro smartphone.

La Text Neck comprende sintomi quali:

  • mal di testa;

  • dolori cervicali;

  • rigidità del cingolo scapolo-omerale e dorsale;

  • formicolio e intorpidimento degli arti superiori;

  • difficoltà visive, gastrointestinali e respiratorie.

Insomma, abbiamo parlato di parecchie conseguenze implicate con l’impiego eccessivo e sregolato degli smartphone, e tante altre ce ne sarebbero da dire, ma cerchiamo di tirare un po’ le somme facendoci aiutare da ciò che ci dice la letteratura scientifica in merito:

  • aumento del disagio psicologico e fisico;

  • disregolazione emotiva;

  • riduzione delle capacità interpersonali;

  • riduzione delle capacità di time management;

  • riduzione della disponibilità cognitiva e dell’attenzione focalizzata;

  • diminuzione del rendimento scolastico e lavorativo.

Ok, non è proprio una meraviglia allora…  dobbiamo necessariamente prendere consapevolezza di questi aspetti e conseguentemente trovare delle soluzioni.

Cosa possiamo fare quindi per adattarci meglio?
Come facciamo a portare su, questa famosa curva di apprendimento?

«La risposta sta su 2 livelli, uno macro che riguarda la società e uno micro che riguarda l’individuo». – conclude il nostro psicologo – Il primo livello è a monte del secondo e riguarda le origini del problema. Stiamo parlando degli scopi e delle modalità con le quali vengono progettate le nuove tecnologie, così come gli usi e i costumi che di conseguenza si diffondono nel tessuto socioculturale. Per esempio, i social network sono strutturati per generare ingaggio e dipendenza negli utenti perché il loro fatturato dipende da quanto massivamente vengono utilizzati. Più persone si iscrivono e iniziano a presentare stili di utilizzo pervasivi, che sono indotti, più tale trend si normalizza, diventando uno stile di vita accettato e professato. Gli attori di questo livello sono quindi le aziende, i mercati e le masse, con le proprie culture mediali. A questo livello, quindi, sarebbe necessario attivare una regolamentazione istituzionale dei paradigmi progettuali delle nuove tecnologie, fondata sulla ricerca; promuovere l’etica aziendale e del mercato; diffondere una cultura digitale basata su autonomia e gestione controllata dello strumento, non su utilizzo pervasivo e dipendente».

Utopia? Probabile…

«Il secondo livello a valle, invece, è quello individuale e riguarda le conseguenze del problema. È quello che interessa noi. A questo livello si trova la dimensione relazionale quotidiana della persona con le nuove tecnologie. Dimensione che, come abbiamo visto, è spesso connotata dalla difficoltà nel regolare tale rapporto, con conseguenze sul benessere psicofisico e sul buon funzionamento dell’individuo. Questo livello non può attendere il cambiamento di quello sovraordinato perché ci parla di un disagio attuale e diffuso. A questo livello è necessaria educazione e consapevolezza, per permettere alle persone di fronteggiare positivamente il complesso compito evolutivo insito nella digitalizzazione: l’attiva costruzione del proprio benessere digitale».

  • Cosa ho appreso:

    I nostri amati (e odiati) dispositivi hanno modificato radicalmente le nostre abitudini e la società con evidenti conseguenze sul nostro benessere psicofisico. Per iniziare a fronteggiare il problema occorre educazione e consapevolezza.

  • Falsi miti:

    Lo smartphone è la soluzione a tutti i problemi della nostra vita. È la più grande invenzione del nuovo millennio e non ne possiamo più fare a meno.

3. Consigli pratici: Il benessere digitale

L’abbiamo già sentito. Ma cos’è sto benessere digitale?

Il benessere digitale consiste in uno stato di equilibrio ottimale (e dinamico) tra condizione online e offline, in cui i vantaggi della connettività mobile sono massimizzati e le conseguenze negative minimizzate.

Come si costruisce il proprio benessere digitale?

Oooooh, arriviamo finalmente al nocciolo della questione! Gli step fondamentali per il raggiungimento del benessere digitale sono due: il media balance e il digital detox.

Partiamo dal primo step: il media balance. Per media balance intendiamo la gestione positiva e sostenibile dell’esperienza online. Ecco alcuni consigli pratici:

  1. Impara a riconoscere e rispettare le tue intenzioni.
    Ovvero, ogni volta che prendi il device, chiediti quali siano gli specifici scopi per i quali lo stai usando in quel dato momento, come guardare l’ora, rispondere a un messaggio o controllare le e-mail e, per quanto ti sia possibile, limitati a questi, riponendo il telefono una volta che hai ottenuto le informazioni che desideri, senza farti catturare da altri contenuti;
  2. Impara a intervallare i momenti di utilizzo.
    Quando hai da fare, abituati ad allontanare il device e tenerlo distante da te o a metterlo in modalità offline. A intervalli regolari (ad esempio ogni 25 minuti) puoi decidere di consultarlo per un tempo limitato (ad esempio 5 minuti). Terminato questo tempo, puoi tornare a svolgere il tuo compito e proseguire così, alternando consapevolmente momenti di operatività e momenti di uso della tecnologia, limitandone in tal modo le distrazioni;
  3. Organizza consapevolmente l’interfaccia dello smartphone.
    Ciò significa individuare le app più importanti per il supporto alle tue attività quotidiane e inserirle nella home. Sposta invece le app superflue o fonte di distrazione in una pagina secondaria o, ancora meglio (only the brave!), rimuovile dallo smartphone.

  4. Riduci o elimina le notifiche.
    Quanto spesso una notifica attira la nostra attenzione mentre svolgiamo un compito? Il nostro smartphone può essere una fonte inesauribile di stimoli distraenti, soprattutto perché le notifiche scatenano in noi una percezione di urgenza connessa alla sensazione di perderci qualcosa, portandoci immediatamente a prendere il device in mano. Nel pannello delle impostazioni puoi disattivare tutte le notifiche più superflue. Impara poi a dedicare specifici momenti della giornata per controllare i messaggi e le e-mail che hai ricevuto anziché farlo di continuo.

Passiamo ora ad analizzare il secondo step necessario per raggiungere questo famigerato benessere digitale: il digital detox.

Per via del magnetismo e dell’utilità, spesso necessaria, della tecnologia, facciamo molta fatica a staccarcene.
Il digital detox consiste in un periodo di tempo in cui decidiamo di astenerci volontariamente dall’uso di device e piattaforme social.

Ecco alcuni metodi efficaci che consigliamo per praticare il digital detox:

  1. Impara a dedicarti dei momenti di pausa.
    Durante la giornata, prendi l’abitudine di ritagliarti dei momenti di auto-check, nei quali chiederti come ti senti. Se avverti affaticamento o sovraccarico, è il momento di una pausa. In questo tempo, puoi svolgere attività che coinvolgano il corpo e soprattutto i sensi che non utilizzi quando fai uso delle nuove tecnologie;

  2. Crea una routine di benessere digitale.
    Riconosci i momenti della giornata in cui l’uso della tecnologia non è strettamente necessario e può andare a sottrarti esperienze importanti. Per esempio, ritarda il più possibile il momento in cui inizi ad usare il telefono la mattina, o concediti dei pasti senza schermi, assaporando il cibo, oppure ancora, decidi di spegnere lo smartphone quando sei in compagnia, per goderti la convivialità;

  3. Regalati dei veri momenti di detox.
    Assicurati, nella tua settimana, di concederti almeno un giorno in cui stacchi totalmente dagli impegni, limitando al minimo la tua reperibilità e posticipando la lettura di mail e comunicazioni.

“Ok, interessante. Facile a dirsi un po’ meno a farsi…

Oltre a queste best practice, c’è altro che può aiutarmi a costruire il mio benessere digitale?”

Assolutamente si. Esistono molti tool che sono stati sviluppati appositamente. Basti pensare alla modalità “Focus” ormai presente di default nella maggior parte dei sistemi operativi, o alle innumerevoli App dedicate che puoi scaricare dai principali store (App Store e Google Play Store).

  • Cosa ho appreso:

    Il benessere digitale è costituito da un equilibrio ottimale tra condizione online e offline. Il raggiungimento del benessere digitale dipende da due fattori: Il primo è la media balance (gestione positiva dell’esperienza online). Il secondo consiste nella  possibilità di praticare periodi di digital detox (momenti di astensione volontaria dall’uso del device).

  • Falsi miti:

    Quando siamo in compagnia del nostro smartphone siamo felici e non abbiamo nessuna ripercussione psicofisica. L’utilizzo smodato dello smartphone non provoca nessuna dipendenza e possiamo smettere di utilizzarlo quando vogliamo. Basta volerlo!

4. Conclusione: “Una app?!” – Contraddizione o soluzione?

Giunti a questo punto dell’articolo sappiamo esattamente che cosa ti starai chiedendo:

“Ma scusa, un’app per aiutarmi a usare meglio e meno il telefono?
Non è una contraddizione?!”

Potrebbe sembrare, ma non lo è. Un’app, in realtà, potrebbe essere uno degli strumenti migliori per raggiungere il nostro obiettivo… ma non un’app qualunque!

Se non sei capitato per caso sulla nostra pagina e se non è la prima volta che leggi un articolo del nostro blog, sai già che a noi di DIGITALMANTRA, piace approfondire i temi che decidiamo di trattare e non ti parleremo mai di argomenti che non conosciamo per diretta esperienza basandoci sull’opinione di altri. Dopo questa doverosa precisazione andiamo avanti!

Abbiamo deciso, quindi, di parlarti di un’applicazione che sta per essere lanciata sul mercato e che abbiamo la netta sensazione possa riscuotere un clamoroso successo. Parliamo di Mind Your Time (MYT), un’app sviluppata da alcuni psicologi del benessere specializzati in cyberpsicologia (tra cui il nostro esperto Mattia).
Ecco come funziona: MYT monitora i tempi di utilizzo del device e, quando rileva che vengono superate determinate soglie di impiego continuativo, personalizzate dall’utente stesso, glielo notifica. Nel farlo, MYT chiede all’utente come si sente in quel momento e, sulla base dello stato d’animo, propone delle attività evidence-based volte a migliorarne le condizioni emotive difficili, i livelli di energia, attenzione e stress.

Tra le tecniche impiegate troviamo la mindfulness, il focusing, tecniche di rilassamento o attivazione, la scrittura espressiva, il grounding, la visualizzazione, i battiti binaurali e la psicoeducazione, insomma moltissimi degli strumenti della psicologia positiva. Una ricerca che questi ragazzi hanno condotto nel 2019 (per una volta diciamo con orgoglio che non vengono né dalla Silicon Valley né dalla famosa Università del Massachusetts, bensì sono italianissimi), e confermata dalla letteratura scientifica, ha dimostrato che specifici stati d’animo negativi sono tra i principali predittori dell’uso compulsivo e sregolato del device, che porta a sua volta alle conseguenze descritte in questo articolo.

MYT si propone quindi in modo efficace, di intercettare i momenti di utilizzo disfunzionale e aiutare l’utente a disinnescare le condizioni psicologiche che li causano, promuovendo un utilizzo più sostenibile e consapevole dello smartphone, favorendo allo stesso tempo il benessere psicofisico e facilitando le performance quotidiane, ovvero quelle dimensioni fortemente colpite dall’iperconnettività.

Questa app ci piace molto, oltre che per l’idea in sé (e per un po’ di sano patriottismo), perché i ragazzi hanno tenuto in larga considerazione anche gli aspetti motivazionali degli utenti, per garantire maggiori probabilità di riuscita nel processo di cambiamento proposto. MYT, infatti, è ideata secondo l’approccio human centered designed per cui, sia la user interface che l’intera user experience, sono state sviluppate in modo da essere semplici, piacevoli e coinvolgenti, rispondendo così ai bisogni dell’utente e “agganciandolo” grazie a strategie di nudging quali la gamification e il rewarding.

Attualmente esistono 2 beta della versione gratuita di MYT, una Android e l’altra iOS. Al momento in pochissimi la conoscono, ma i più appassionati del genere che hanno già cominciato ad utilizzarla, in poche settimane hanno già riscontrato evidenti benefici. Entrambe le versioni sono già presenti sugli store e a breve, verranno lanciate ufficialmente!

Siete curiosi? Stay tuned!

  • Cosa ho appreso:

    La tecnologia se ben progettata può essere nostra amica e fonte di benessere.

  • Falsi miti:

    La soluzione per raggiungere il benessere digitale consiste nell’imporre il digital detox assoluto. Rinchiudiamoci in un tempio e facciamo i “fricchettoni”!


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DIGITALMANTRA - Blog - Crescita personale - Come essere in grado di gestire e mantenere alto il livello di attenzione - Anteprima

Come essere in grado di gestire e mantenere alto il livello di attenzione.

Multitasking? NO GRAZIE.

Sei in grado di gestire la tua attenzione e arrivare in fondo all’articolo senza distrarti? DIMOSTRACELO!

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Sei al computer, hai appena finito una delle interminabili (e francamente non troppo utili) call di allineamento per il progetto di questo trimestre.

Guardi il calendario della giornata e hai schedulate altre tre videochiamate, infinite, le forze iniziano a mancare.

Ti fai coraggio, hai un’ora di tempo tra una riunione online e l’altra; decidi, senza troppi indugi, di rispondere a quell’email importante che hai contrassegnato nell’inbox, non vuoi rischiare di dimenticartela nell’infinito buco nero della tua posta in entrata.

Inizi con l’attacco della risposta, hai le idee chiare, ma neanche troppo, fai ordine mentale e decidi di rispondere per punti – grande idea.

Alla terza riga, SQUILLA IL TELEFONO, è il tuo collega, ti chiede di aggiornarlo sulla riunione appena terminata e alla quale non è riuscito a partecipare. Cerchi di liquidare il tutto senza troppi dettagli, anche perché, non c’è molto da raccontare. Chiudi la telefonata e ti rimetti subito al lavoro sulla mail, fai un po’ fatica a riprendere il filo del discorso, l’afa di questi giorni non ti aiuta nel difficile compito. Dopo un primo momento di difficoltà, riprendi il filo e sembra che tutto proceda liscio fino quando, ti arriva un messaggio su WhatsApp.

Arriva da casa, una foto del cane posizionato esattamente davanti all’aria condizionata. Ti fai una sana risata, rispondi rapidamente e ti rimetti subito sull’email. Sei quasi arrivato in fondo, senti però la necessità di rileggerla, è una mail importante, meglio evitare di fare brutte figure, all’improvviso, notifica di Instagram. Decidi di ignorarla, ma ormai il pensiero è andato, legato a quell’icona colorata, contemporaneamente l’allert di twitter ci segnala l’ultimo messaggio del Ministero della Difesa (è bello sentirsi informati in ogni secondo).

Provi a rimetterti sull’email per verificarne l’efficacia quando senti il suono, ripetitivo e poco allettante, dell’inizio della videochiamata. Grande sospiro e rispondi.

Risultato: in un’ora hai ragguagliato un collega su una videochiamata senza alcun tipo di urgenza, hai visto il tuo cane, sereno e beato, davanti al getto dell’aria condizionata (e l’hai anche invidiato parecchio), hai riso su un meme di Instagram e hai letto distrattamente un tweet sulla situazione italiana. Detta in questi termini, sembra esser stata un’ora molto produttiva, peccato che tu non abbia ancora inviato l’e-mail di risposta.

indice
  • 1. Il mito del multitasking – una cosa alla volta

  • 2. L’attivazione della regola

  • 3. Il paradosso moderno: faro e serbatoio

  • 4. Cosa fare? Da Napoleone a WhatsApp

1. Il mito del multitasking – una cosa alla volta

Quante volte, dai tuoi capi o dai tuoi diretti superiori e colleghi, ti è capitato di sentire queste parole:

“È importante essere un po’ multitasking…”

Oppure:

Devi saper fare più cose contemporaneamente, i tempi sono cambiati, non abbiamo più tempo da perdere, mi serviva per ieri!

Al di là della visione discutibile del concetto di “tempo”, bistrattato, dato per scontato, quasi snobbato; ciò che ci interessa realmente affrontare in questo articolo è il mito del multitasking.

Per farlo, dovremo rispondere ad una semplice domanda. Sempre parlando in termini scientifici, il cervello umano è in grado di compiere più azioni contemporaneamente?

Prima di proseguire, è necessaria una premessa.
C’è una differenza a dir poco sostanziale tra:

  • svolgere più compiti insieme

  • prestare attenzione

Come riportato da John Medina, biologo molecolare direttore del Brain Center for Applied Learning Research di Seattle e professore di Bioingegneria all’università di medicina di Washington, nel suo libro “Il Cervello: istruzioni per l’uso”, il nostro cervello è in grado di permetterci di svolgere più COMPITI contemporaneamente. Per esempio, il nostro cervello ci permette di suonare strumenti musicali muovendo diversamente le due mani e leggendo al tempo stesso lo spartito. Oppure, possiamo correre e chiacchierare, nello stesso istante tutte le funzioni vitali del nostro corpo saranno regolate senza l’intervento della nostra volontà.

Quindi il cervello è multitasking?

Apparentemente potrebbe sembrare, ma quando si parla di ATTENZIONE, i concetti sono analizzati IN SEQUENZA. Non siamo in grado di splittare il nostro potenziale attentivo.

Quello che cerchiamo di fare ogni giorno, in sostanza, è di imporre ad un organo che agisce in modo sequenziale, più attività contemporanee, cercando di costringerlo ad andare contro la sua natura, contro il suo funzionamento.

Ora capite perché è una pessima idea guidare usando il cellulare?

Ristrutturando le nostre credenze, allora, come potremmo definire il tanto ricercato multitasking, se in realtà neanche esiste? Beh, più che un multitasking, dovremmo parlare di un “cambio/alternanza/variazione di task”, alcuni lo definiscono “Task-Switching”, quindi il nostro cervello non focalizzerà l’attenzione su compiti differenti, ma in realtà passerà rapidamente da uno all’altro, con tutti i rischi connessi a tale attività, come vedremo tra poco.

Pur sapendo che questo va ad influire negativamente sulle nostre performance, perché continuiamo ad ostinarci nella tanto fallimentare pratica del multitasking? Perché in fondo in fondo, ma neanche così tanto in profondità, ci piace!

L’idea di sentirci un po’ dei supereroi pronti a risolvere qualsiasi compito ci venga richiesto nel minor tempo possibile, l’immagine di noi stessi sopraffatti dal lavoro ma, al tempo stesso, in grado di districarci in mezzo a mille difficoltà raggiungendo l’obiettivo e, non per ultimo, la possibilità di pronunciare una delle seguenti frasi:

“Sono oberato di lavoro! 

Oppure:

“Sono sott’acqua in questo momento! 

O ancora:

“Non ho neanche uno slot libero per respirare! 

(Vi invitiamo a condividere con noi le frasi più divertenti e fantasiose che avete sentito o inventato).

Tutto ciò, ci fa sentire realmente importanti.

Insomma, ci piace sentirci impegnati, apparire impegnati, essere impegnati e metterci al lavoro per districarci nelle difficoltà, ovviamente, senza un piano e facendo tutto insieme.

Ma quali sono i rischi di questo comportamento per la nostra produttività? 

  • Cosa ho appreso:

    Il cervello non è multitasking, in realtà passa rapidamente da un’attività all’altra.

  • Falsi miti:

    Siamo paragonabili ai robot, possiamo focalizzare la nostra attenzione su più compiti contemporaneamente senza il rischio di impattare negativamente sulla performance.

2. L’attivazione della regola

Tutto molto bello, tutto molto istruttivo e anche interessante, ma per quale motivo dovrei iniziare a comportarmi diversamente?

Ci sono realmente degli impatti sulle nostre performance?

Se vi dicessimo semplicemente di sì, non ci credereste. Crediamo sia decisamente più efficace fare un breve tour all’interno del nostro cervello, per potervi raccontare nel dettaglio quali siano i rischi legati alla performance. Per farlo, utilizzeremo le parole del suddetto professor Medina.

Immaginiamo di trovarci nella condizione di dover scrivere un’e-mail importante, come all’inizio dell’articolo.

Ci sediamo alla nostra scrivania, accendiamo il computer e ci prepariamo a scrivere.

Affinché questo sia possibile, il sangue deve affluire alla corteccia prefrontale anteriore (zona del cervello appartenente al sistema esecutivo e che, come riportato nel libro citato è assimilabile ad una centralina di comando).

La nostra centralina di comando si attiva iniziando a comunicare lo spostamento dell’attenzione sul compito di SCRIVERE L’EMAIL.

A questo punto, entriamo in una nuova fase, quella dell’ATTIVAZIONE DELLA REGOLA.

Cosa significa? È presto detto.

Quando la corteccia invia l’allerta di cui sopra, tale allerta contiene all’interno un vero e proprio messaggio, diviso in due fasi.

La prima fase, necessaria per poterci concentrare sull’email da scrivere, va a ricercare una serie di neuroni che siano in grado di compiere questo compito di scrittura. In altre parole, è come se venisse effettuato un casting per reclutare gli attori più calzanti.

Una volta raccolti i neuroni adatti, è necessario attivarli, per far sì che ci permettano di iniziare a compiere l’azione specifica, nel nostro caso, scrivere l’e-mail.

Avete notato quante attività devono realizzarsi prima di mettere in atto il comportamento? Tutto questo avviene senza una vera e propria coscienza. Ci teniamo anche a ricordare un altro dettaglio, tutto questo avviene in diversi decimi di secondo, solo dopo iniziamo a mettere in atto l’azione.

Fino a qui, abbiamo descritto cosa deve avvenire nel nostro cervello per permetterci di compiere determinate azioni. Ora arriva il bello.

Cosa succede se, malauguratamente, abbiamo lasciato il telefono accanto al computer e ci arriva un messaggio?

Apparentemente, nulla di grave o importante, tendiamo a spostare gli occhi sul cellulare, controlliamo l’entità del messaggio, magari rispondiamo rapidamente e poi torniamo a scrivere l’e-mail.

In realtà, quello che deve accadere è ben più complesso, e ormai, dovremmo avere anche un’idea di cosa stia avvenendo. Quando uno stimolo come un messaggio irradia i nostri sensi, automaticamente, nel nostro cervello, dovrà ripetersi nuovamente tutto il processo descritto per poterci permettere di rispondere.

In altre parole, deve attivarsi una nuova regola, da capo. Verrà inviato un nuovo messaggio, sempre diviso in due, per reclutare i neuroni adatti a rispondere al messaggio e per attivarli.

Tutti questi passaggi verranno effettuati IN SEQUENZA, non contemporaneamente come abbiamo sempre pensato.

Ecco spiegato il motivo per il quale… NON POSSIAMO SVOLGERE DIVERSI COMPITI CONTEMPORANEAMENTE.

Come, tutto questo, può impattare sulla nostra performance ed efficacia?

Semplice, ogni volta che ci troviamo a dover “attivare una nuova regola”, ci auto-poniamo nelle condizioni di iniziare nuovamente tutto il lavoro dall’inizio. Questo significa che le probabilità di compiere errori raddoppiano, triplicano e così via, in base al numero di distrazioni ricevute.

Oltre ad un tema di minor precisione nel lavoro svolto, un altro paradosso è quello legato al tempo. Questo perché, ogni volta che ci concentriamo su un’attività differente da quella che stiamo svolgendo, perdiamo inesorabilmente tempo, così come quando tentiamo di ri-concentrarci sul compito precedente.

  • Cosa ho appreso:

    Ogni volta che inizio a concentrarmi su una nuova attività, il processo necessario per portare a termine la nuova attività deve ricominciare da zero, con un impatto significativo in termini di performance e tempo.

  • Falsi miti:

    Fare più cose “contemporaneamente” ci permette di risparmiare tempo e massimizzare le nostre performance.

3. Il paradosso moderno: faro e serbatoio

È paradossale, quindi, che per essere maggiormente produttivi ci venga chiesto di essere multitasking, quando in realtà, l’esserlo, ci rende decisamente MENO produttivi e ci impone un maggior dispendio di tempo ed energie per portare a termine i nostri compiti.

Oltre al mero funzionamento cerebrale del processo dell’attenzione, è importante anche soffermarci su altri due punti.

Per farlo, utilizzeremo due immagini.

La prima, è quella di un FARO.

Esatto, come quello dei romanzi gialli, immagina un alto faro bianco su una scogliera.

Una delle prime caratteristiche del faro che ci vengono in mente, è la sua luce. Nella notte, specialmente con piaggia o tempesta, questa è accesa e gira costantemente al fine di segnalare la presenza della terra alle navi in arrivo.

Ecco, immaginatevi l’attenzione come la luce di un faro. Questa è in grado di illuminare solo una porzione di ciò che ci circonda, non tutto l’insieme. Quando spostiamo l’attenzione da un’attività ad un’altra, la luce si sposta di conseguenza illuminando ciò che ci stiamo accingendo ad effettuare.

La seconda immagine che vogliamo condividere con voi è quella del SERBATOIO.

Sì, esatto, il serbatoio, come quello dell’auto.

Questo perché, come ricordato più in alto, ci piace sentirci dei supereroi e, di conseguenza, dotati di super poteri. In realtà, dobbiamo sempre ricordarci di essere straordinari, ma pur sempre umani.

Cosa c’entra tutto questo con l’attenzione?

Sono concetti strettamente collegati; quando pensiamo alla nostra capacità di attenzione, tendiamo a sopravvalutare le nostre abilità e le nostre energie.

Immaginiamo di avere un serbatoio e che questo si riempia ogni notte. Talvolta, potrebbe capitare che questo non sia proprio pieno, magari abbiamo dormito male oppure è stata una notte travagliata, e per questo motivo non è particolarmente carico.

Ogni volta che focalizziamo la nostra attenzione pienamente su un compito, il serbatoio inizia a svuotarsi, fino a raggiungere il termine.

Ricorda sempre questa immagine e la lezione ad essa connessa: l’attenzione è LIMITATA. Non siamo in grado di rimanere concentrati per 18 ore ogni giorno, in modo continuativo e senza interruzioni.

Ecco i tre punti essenziali analizzati, ti saranno molto utili per massimizzare le tue performance:

  1. Non siamo multitasking
  2. Possiamo “illuminare” solo una porzione limitata intorno a noi
  3. Dosa attentamente la tua attenzione nel corso della giornata
  • Cosa ho appreso:

    La nostra attenzione è paragonabile ad un faro, illumina ciò su cui siamo concentrati. Inoltre, è necessario dosare la nostra attenzione per evitare di finire il serbatoio proprio quando ne ho più bisogno.

  • Falsi miti:

    L’attenzione è infinita, posso rimanere concentrato tutta la giornata senza prendermi delle pause, la performance non ne sarà impattata.

4. Cosa fare? Da Napoleone a WhatsApp

Abbiamo visto cosa succede nel nostro cervello quando vogliamo focalizzarci su un’attività, abbiamo visto per quale motivo sarebbe meglio evitare di continuare a “distrarci o farci distrarre” da altri compiti-attività-richieste e quale sia l’impatto sulla nostra produttività, ora è importante capire cosa fare in pratica per evitare che questo accada.

Innanzitutto, non scoprirete di sicuro l’acqua calda in questo momento, gli smartphone sono dei nemici implacabili per la nostra attenzione.

WhatsApp, Instagram, Twitter, Facebook, TikTok, Youtube, Snapchat e chi più ne ha, più ne metta. Sommiamo anche il fatto che ormai sia (quasi) impossibile essere IRRAGGIUNGIBILI – ma quanto è bello esserlo in rari e sporadici momenti- ecco qui che la possibilità di focalizzarci realmente, per un tempo prolungato, su una stessa attività, è paragonabile ad una delle fatiche del famoso Eracle greco.

Cosa possiamo fare per evitare di farci inglobare da questo circolo vizioso?

Ci sono svariate tecniche, idee, strategie possibili e utilizzabili in questo campo, noi ne citeremo solo alcune:

1. Modalità focus sullo smartphone

Ormai, quasi tutti i dispositivi elettronici, consapevoli (forse) del potere talvolta autodistruttivo che hanno sui loro utilizzatori, posseggono una modalità “focus”, fondamentale durante i momenti di massima concentrazione. Queste modalità possono essere attivate e disattivate rapidamente e consentono di impedire totalmente o parzialmente l’arrivo di notifiche dalle diverse applicazioni oltre che chiamate, mail ecc.

Inoltre, è consigliabile, soprattutto nei momenti dove necessitiamo di massima attenzione nella nostra attività, tenere i dispositivi LONTANI dalla nostra postazione di lavoro. Ciò significa che non devono trovarsi sulla scrivania o nelle vicinanze poiché la loro presenza, rappresenta di per sé una fonte di distrazione.

2.Stabilisci i “momenti”

Avrai sicuramente sentito parlare delle To-Do-List o liste delle cose da fare. Ci sono grandi fan, veri sostenitori di queste modalità, e molti haters, ormai il gergo social si è diffuso capillarmente. Al di là del fatto che tu sia un seguace o meno della lista di cose da fare, è importante il concetto che ne sta alla base, concetto che riprenderemo anche qui, in un’ottica un po’ diversa e con il nome di “momenti”.

È importante selezionare i “momenti” nei quali svolgere determinate attività: lettura e risposta alle e-mail, stesura dell’articolo per la prossima scadenza, realizzazione della presentazione in PowerPoint per la riunione di lunedì, pausa relax, spuntino, camminata, attività fisica.

Questo ci aiuterà a sconfiggere la naturale “compulsività” insita nei nostri comportamenti in questa epoca 4.0 o 5 o 6, chissà a che numero siamo arrivati.

Senza un po’ di disciplina nella scelta e nel rispetto dei singoli “momenti”, ci ritroveremo a “scrollare” le e-mail ogni 15 minuti, nella spasmodica attesa del suono dell’inbox, ormai divenuto un incubo.

3. Valutazione delle priorità e delle urgenze

Quante volte ci capita di ricevere, tendenzialmente all’ultimo secondo, richieste che scalano la classifica delle nostre priorità, portandoci ad interrompere quello che stavamo facendo per concentrarci sul nuovo arrivo? Questo non dovrebbe capitare, o meglio, può capitare che ci siano delle reali urgenze, può anche capitare che queste urgenze scalino la lista delle nostre priorità collocandosi in vetta, d’altra parte, sono pur sempre URGENZE.

Ma cosa succede quando tutto diventa un’urgenza? Semplice, nessuna lo è più davvero.

Ebbene, tempo fa, ci siamo imbattuti, nel mirabolante mondo del web, in uno dei tantissimi video di Marco Montemagno, in particolare, un video sulla procrastinazione.

Monty, nei quattro minuti e mezzo del suo video, analizza il tema della procrastinazione citando una figura storica di una certa rilevanza: NAPOLEONE.

Avete capito bene, Napoleone Bonaparte, l’originale. Vi starete chiedendo che cosa possa centrare mai Napoleone con la procrastinazione, ve lo spieghiamo subito.

Napoleone aveva due regole per gestire le richieste in entrata, ed essendo un imperatore, è probabile che avesse giusto un paio di cose a cui pensare. Le regole auree potremmo dividerle in questo modo:

A – Notizie pervenute durante il sonno
In caso di notizia positiva, bisognava lasciarlo riposare beatamente. Solo in caso di notizia negativa, allora, bisognava svegliarlo immediatamente per permettergli di gestire la situazione.

B – Lettere pervenute
L’equivalente delle mail o dei WhatsApp di oggi.
In questo caso, invece, le lettere venivano lasciate per ben tre settimane CHIUSE.

I motivi sono essenzialmente due.
Da un lato, se ci fosse stata una notizia veramente importante, questa lo avrebbe raggiunto in altro modo, dato il carattere di urgenza. Vale quindi il principio: se è una notizia davvero importante, troverà il modo di raggiungerci.
Dall’altro, invece, tutte quelle richieste NON realmente urgenti, si sarebbero risolte spontaneamente senza l’intervento dell’imperatore.

Tecnica giusta o sbagliata? A voi l’ardua sentenza.

Al di là della validità storica del racconto e della sua attendibilità, ciò che ci teniamo a sottolineare è una valutazione OGGETTIVA del carattere di urgenza delle richieste pervenute. Il metro per valutarne l’importanza e l’urgenza, infatti, non deve e non può essere il momento in cui sono giunte a voi.

Effettuate una valutazione attenta e ponderata della situazione e, magari, lasciate che quelle di minor conto, si vadano a risolvere spontaneamente.

  • Cosa ho appreso:

    Non tutto ciò che ci accade è realmente urgente. Dobbiamo imparare a valutare il carattere delle richieste pervenute e utilizzare la tecnologia a nostro vantaggio, nello specifico, aiutandoci a rimanere concentrati su ciò che stiamo portando a termine.

  • Falsi miti:

    Viviamo nella società dell’urgenza. Prima risolvo i problemi, meglio sarò percepito all’esterno.

Ormai non avete più scuse, conoscete i meccanismi alla base del funzionamento dell’attenzione e qualche tips per poterla massimizzare in funzione del raggiungimento di prestazioni migliori.

Vi resta solo una cosa da fare…

Provare!

Solo un’ultima info prima di lasciarvi, vi capita mai di pensare che la vostra memoria sia assolutamente scadente? Gli esseri umani adorano definirsi dei pessimi memorizzatori, chissà perché.

Restate connessi perché il prossimo articolo parlerà proprio della MEMORIA, i suoi segreti, il suo funzionamento e anche qualche falso mito da sfatare.

Iniziamo subito con una massima, aspettate, com’era? Ah si certo:

“È tutta questione di METODO!”

A presto!


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DIGITALMANTRA - Blog - Crescita personale - Riconoscere le emozioni per migliorare le proprie performance - Detail DIGITALMANTRA - Blog - Crescita personale - Riconoscere le emozioni per migliorare le proprie performance - Detail

Riconoscere le emozioni per migliorare le tue performance.

Emozioni: poker d’assi servito

Cecco Angiolieri, nel suo celebre sonetto “S’i’ fosse foco”, si mette nei panni degli elementi naturali, spaziando dal fuoco all’acqua, fino al vento. Passando per Dio, il papa, l’imperatore, torna, nelle battute finali, ad immaginarsi come una figura ultraterrena, la morte, prima di chiudere definitivamente lo scherzo ricordando, a sé stesso e al lettore, di essere “solo” un uomo.

Solo un uomo. Corpo, mente, pensieri, sensazioni, emozioni. Emozioni, appunto.

Quante volte ti è capitato di pensare: “Vivrei meglio senza le emozioni”, oppure “Le emozioni mi ostacolano nella vita di tutti i giorni, mi rendono debole, vulnerabile”, o ancora “Tutto ciò che devo fare per raggiungere il mio obiettivo è mascherare le mie emozioni”.

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DIGITALMANTRA - Blog - Crescita personale - Riconoscere le emozioni per migliorare le proprie performance - Detail

indice
  • 1. PokerFace

  • 2. Il mondo interiore

  • 3. Il nostro Bat-Segnale

  • 4. Emozioni: Poker d’assi

  • 5. All-In

1. PokerFace

Siamo umani e come tali abbiamo pensieri fantasiosi, forse anche troppo. Partiamo dal presupposto che, se stessimo giocando a poker, l’utilizzo della famosa “pokerface”, tipica espressione neutra usata per mascherare una mano vincente, sarebbe obbligata, evitando così ai nostri avversari di raccogliere qualsiasi informazione sui nostri pensieri ed emozioni. Ricordiamoci, però, che la vita non è una partita di poker e se la nostra idea è quella di provare ad estromettere le emozioni dal nostro vissuto quotidiano, con la convinzione che il loro coinvolgimento abbia come unico scopo quello di danneggiarci, falliremo miseramente.

Per anni, lo stereotipo della figura di successo è stato rappresentato da un essere umano glaciale, inflessibile, privo di emozioni e sentimenti, pronto a calpestare gli altri pur di emergere, senza alcuno scrupolo. Forse, nel 2022, con le dovute eccezioni del caso e con tempi tutt’altro che esigui, le cose stanno cambiando. La predominanza del fattore umano, il ruolo dell’empatia, la centralità della dinamica emotiva, stanno prendendo lentamente spazio nel pensiero generale.

Dobbiamo essere pronti e preparati alla rivoluzione in corso, dobbiamo avere tutti gli strumenti necessari per poterci muovere agilmente in un mondo nuovo e, per certi versi, ancora sconosciuto.

Ci piace quindi partire da qui, da una nostra timida e fugace rivisitazione del sonetto di Cecco Angiolieri, sottolineando che:

S’i fossi un robot, mi estinguerei dal mondo”

perché non si può vivere senza emozioni, queste sono necessarie per la nostra sopravvivenza e per continuare a scrivere la storia della razza umana.

  • Cosa ho appreso:

    Siamo fatti di emozioni, dobbiamo imparare a riconoscerle e a vivere con esse.

  • Falsi miti:

    Vivere senza emozioni potrebbe portarci ad avere vantaggi evolutivi e a performare meglio.

2. Il mondo interiore

Immagina di trovarti in uno spazio aperto, molto ampio, e di camminare serenamente. Ti stai godendo il paesaggio, non è importante dove ti porti l’immaginazione. Respiri aria pulita, per la prima volta dopo molti anni ti senti spensierata/o. Il sole splende alto nel cielo, c’è una lieve brezza refrigerante.

Improvvisamente, accanto a te, compare un’imponente leonessa, meravigliosamente fiera, terribilmente affamata.

Senza alcun tipo di intenzione o volontà, il cuore sembra essersi spostato all’altezza della gola, ha iniziato a battere come un tamburo e, per un attimo, hai la convinzione che sia sul punto di uscire dal tuo corpo. Le mani sono diventate gelide e lo stesso è accaduto ai piedi. In queste condizioni ti è impossibile muovere anche un singolo muscolo del corpo. Per finire, inizi a sentire un sudore freddo lungo tutta la schiena.

Prima di procedere sono doverose un paio di premesse: la prima è che ci auguriamo non vi troviate mai in questa situazione e la seconda è che queste sono solo alcune delle possibili reazioni in un contesto così al limite.

Ora, proviamo a rispondere alla domanda:

“Cosa è successo?”

Il sudore, i battiti accelerati, il freddo, sono, come premesso, alcune delle possibili reazioni fisiche ad un evento sconvolgente come quello descritto. Per correttezza e rispetto, tralasceremo tutta la gamma di pensieri, più o meno edulcorati, che potrebbero sorgere nella nostra mente in una tale situazione.

Ma andiamo avanti. Se avessimo avuto una telecamera davanti a noi, puntata proprio sul nostro volto, questa avrebbe ripreso anche il cambio della nostra espressione facciale. Da gioviale e rilassata a tesa, tirata.

Possiamo quindi asserire che l’emozione, in questo caso la paura (credo che non ci siano troppi dubbi a riguardo), sia connessa ad una serie di cambiamenti: alcuni interni (fisiologici) e altri visibili anche all’esterno (a livello facciale e di linguaggio del corpo).

Nell’articolo pubblicato nella nostra sezione di crescita personale – “Come non farsi paralizzare nel lavoro e nella vita dalle proprie paure.” – abbiamo accennato brevemente a cosa siano le emozioni, oltre ad aver fornito una sorta di “starter pack” per non addetti ai lavori, con il quale iniziare ad orientarsi in questo magnifico mondo.

Oggi, però, vi proponiamo di andare oltre, vogliamo portarvi a fare un piccolo tour emotivo. Esatto, hai capito bene, un tour, proprio come se fossimo tornati piccoli e ci trovassimo dentro il più bello dei parchi divertimenti, solo che, questa volta, il parco divertimenti sarà dentro di noi.

  • Cosa ho appreso:

    Le emozioni impattano il sistema corpo-mente su più fronti.
  • Falsi miti:

    Provare emozioni è una scelta arbitraria.

3. Il nostro Bat-Segnale

Come già ribadito più volte, non siamo psicologi e non abbiamo alcuna intenzione di sostituirci ad essi. Siamo divulgatori. Citando le fonti e gli autori delle ricerche scientifiche, riportiamo, con un linguaggio semplice e accessibile teorie che hanno impattato significativamente sulla nostra vita. Quando parliamo dei vantaggi e dei guadagni che ne abbiamo tratto, però, non immaginiamoci solo ed esclusivamente un ritorno economico diretto, spesso, essere in grado di comprendere e gestire le nostre emozioni ci dà la possibilità di guadagnare TEMPO, di essere più performanti, di sfruttare a nostro vantaggio elementi che molti considerano, ancora oggi, ostacoli.

Iniziamo, come amiamo fare, con una domanda:

Quante volte ti è capitato di intuire le emozioni del tuo interlocutore semplicemente da una sua espressione?

O magari da un atteggiamento troppo remissivo?

Impariamo ad osservare i volti delle persone che ci circondano, il loro movimento, la loro voce, sin da quando siamo neonati, aumentando, in modo direttamente proporzionale, la nostra abilità con l’esposizione ad un numero di soggetti sempre maggiore. Crescendo, quindi, affiniamo le nostre capacità di interpretazione dei segnali provenienti dagli altri.

Partendo da questo presupposto, potremmo allora iniziare a vedere le emozioni come dei SEGNALI inviati verso l’esterno. Un po’ come se fossero un bat-segnale (il segnale a forma di pipistrello che illumina il piovoso cielo di Gotham City per invocare l’aiuto del cavaliere oscuro contro i nemici), un modo per comunicare con gli altri, senza necessariamente dover spiegare a parole quanto stiamo provando.

Illustri scienziati e psicologi hanno dedicato l’intera loro esistenza allo studio delle emozioni, della loro natura, delle loro origini; tra questi troviamo l’insuperabile Charles Darwin, Silvan Tomkins, Paul Ekman, Lisa Feldman Barrett, Rachel Jack, solo per citarne alcuni.

Non ci interessa entrare nel merito delle singole teorie, analizzandone analogie e differenze. Anche perché, ad oggi, non vi è unanimità su diversi punti.

Quindi faremo qualcosa di diverso.

  • Cosa ho appreso:

    Le emozioni possono avere la funzione di avvisare gli altri, fungere da segnalatori.

  • Falsi miti:

    Le emozioni si esauriscono nella dimensione individuale, sono quindi manifestazioni personali che non impattano su chi ci sta intorno.

4. Emozioni: Poker d’assi

È arrivato il momento di entrare nel merito, è arrivato il momento di iniziare il nostro tour.

Potremmo dividere le emozioni in primarie e secondarie, potremmo sfatare il mito relativo alle EMOZIONI POSITIVE e alle EMOZIONI NEGATIVE, potremmo fare tutto questo e anche di più.

Ciò che faremo, invece, sarà svolgere un tour nell’anatomia di alcune emozioni, nello specifico, del nostro “poker d’assi emotivo” – oggi siamo particolarmente ispirati dal poker, non si capiva?

Questo non vuol dire che esistano solo le quattro emozioni che andremo ad affrontare, sia chiaro.

Siamo pronti? Andiamo: tre, due, uno.

PAURA: sulla base di quanto riportato nel nostro precedente articolo, partiamo proprio da qui, dalla paura. Gli occhi sgranati, tipici di “un’espressione di paura”, aiutano ad aumentare il nostro campo visivo. Questa funzione, apparentemente di scarsa utilità e slegata dalle nostre necessità, è invece fondamentale nel caso in cui sia in corso una minaccia.

La paura ci permette di riconoscere la minaccia, metterla a fuoco e affrontarla.

Come? Possibilmente un piccolo passo alla volta (ti rimandiamo nuovamente all’articolo precedente qui).

RABBIA: vera superstar nel mondo delle emozioni.

Alla base dell’istinto di difesa e del superamento degli ostacoli. La comparsa della rabbia è fondamentale per poter organizzare una difesa, ma al tempo stesso per aggirare o superare l’ostacolo che si frappone tra noi e il nostro obiettivo.

ATTENZIONE: rischio elevato FALSO MITO!

Ottimo “sfogare” la rabbia, attenti però a farlo senza limiti e controllo, permettendole di diventare distruttiva per noi e per le persone intorno.  

Bene, potreste pensare, e come possiamo far fluire la nostra rabbia senza che questa ci divori dall’interno?

Per esempio, cambiando ambiente, spostandosi quindi in un luogo differente rispetto a dove sta avvenendo la discussione. In alternativa, una buona idea è quella di fare una breve passeggiata per permettere al picco di rabbia di abbassarsi.

E se non posso cambiare ambiente e andare a fare una passeggiata, cosa faccio?”

Tipico, pensate all’insorgere della rabbia in una riunione di lavoro, magari con quel collaboratore che non rispetta mai i turni di parola e tende a prevaricarmi in modo molto maleducato; in quel caso, potrebbe risultare complesso dire davanti a tutti: Va bene, grazie per l’attenzione, vado a farmi una passeggiata.
L’alternativa? Potresti contare fino a 10. Sì, esatto, proprio come ci hanno insegnato da piccoli, conta fino a dieci per evitare di reagire nel momento di massima tensione. Ulteriore strategia è quella di utilizzare dei respiri profondi, ne bastano 3, concentrandosi sull’aria che entra e che esce dal nostro naso. In questo modo, riuscirai a normalizzare la tempesta emotiva in corso, senza scatenare una vera e propria battaglia.

Sono strategie apparentemente semplici, ma fondamentali per evitare di farsi sopraffare e vivere male il nostro rapporto con questa emozione.

TRISTEZZA: il segnalatore più forte in assoluto.

Tramite la tristezza, possiamo stimolare l’empatia, mostrandoci disponibili alla riconciliazione.

Fidiamoci della nostra tristezza, entriamo in contatto con essa, non allontaniamola e soprattutto, non temiamola. Accogliamo la possibilità di essere tristi, prendiamoci il tempo che ci serve per stare con noi stessi e, in seguito, ri-apriamoci al mondo.

Due ulteriori possibili strategie per aiutarci a superare un momento di tristezza.

Prima di tutto, fare dell’attività fisica sarà di grande aiuto. Nonostante le forze per iniziare saranno decisamente scarse, vinci l’iniziale resistenza, troverai un grande beneficio.

Seconda, anche se potrà sembrarti controintuitivo, SORRIDERE. C’è un tempo per essere tristi, c’è però anche un momento dove abbiamo il diritto e il dovere di tirarci fuori dal buio e tornare a vedere la luce. Sorridere vi aiuterà a ritrovare la strada, vi predisporrà ad accogliere quanto di buono avviene nella vostra vita.

FELICITÀ: proviamo, per una volta, a guardare la felicità da una prospettiva differente.  

Come ricordato da Immaculata De Vivo nel suo libro, scritto con Daniel Lumera, “La scienza della felicità”, riportando uno studio condotto da Nicholas Christakis della Harvard University e da James Fowler dell’Università della California San Diego, è importante considerare il carattere COLLETTIVO della felicità. Questa emozione non dovrebbe essere considerata solo nella sua dimensione individuale poiché, come tutte le altre emozioni, può propagarsi da un individuo ad un altro.

La tendenza degli esseri umani è quella di replicare/imitare il linguaggio del corpo e le espressioni facciali di chi gli sta intorno, facendo propria anche l’emozione ad esso connessa.

Potrà sembrarvi magia, potremmo addirittura considerarlo così:

il nostro Super Potere!

Possiamo aiutare le persone intorno a noi, semplicemente dando loro l’esempio.

Fondamentale quindi mostrare la propria felicità, per noi stessi e per chi ci sta intorno, sorridendo, soprattutto con gli occhi! Chi lo sa, potreste veder spuntare un sorriso anche dove non ve lo sareste mai aspettati.

5. All-In 

Eccoci arrivati qui, alla fine del nostro tour emotivo.

Abbiamo appena iniziato ad addentrarci in un mondo misterioso, ricco di strade ancora inesplorate, dove le domande superano di gran lunga le risposte, ma nonostante tutto, straordinario.

Lungi da noi ergerci a dispensatori di consigli, quelli li lasciamo ai guru da tastiera, raccomandandovi sempre di essere critici e curiosi, senza per questo scivolare nel cinismo. C’è un’ultima immagine “pokeristica” che vorremmo giocarci. Quando si parla di emozioni bisogna essere disposti a fare all-in, puntare tutto, metterci in gioco completamente.

Non possiamo permetterci di guardarle da lontano, non possiamo fingerci disinteressati davanti a ciò che proviamo, sentiamo, pensiamo, viviamo.

Jung diceva: “Senza emozione, è impossibile trasformare le tenebre in luce e l’apatia in movimento”.

È arrivato il momento di avere il coraggio di vivere le nostre emozioni, fino in fondo, è arrivato il momento di prendere in mano la nostra vita, è arrivato il momento di dire ad alta voce:

ALL-IN!

  • Cosa ho appreso:

    Entrare in contatto con le emozioni è fondamentale per vivere in un contesto organizzativo e in realtà collettive.

    Le emozioni non si esauriscono nella dimensione “personale”, o meglio, non sono SOLAMENTE qualcosa di intimo. Aristotele diceva che l’uomo è animale sociale, e come tale deve considerare le dinamiche che animano la vita della collettività, tra cui le dinamiche emotive (troppo spesso trascurate).

    Inoltre, è bene ricordare sempre che le emozioni ci accompagnano per un motivo, aiutarci a portare avanti la nostra specie. Non possiamo considerare il mondo emotivo come una sfera a sé stante; questa, influenza il nostro lavoro, i nostri rapporti personali e, come tale, va curata, coltivata e custodita con costanza e rispetto.

  • Cosa troverai nel prossimo articolo:

    Nel prossimo articolo, inizieremo ad addentrarci nel mondo dell’attenzione.

    Hai presente quando ti trovi a metà della stesura di una email molto importante e, improvvisamente, suona il tuo smartphone? Ecco,il gioco è fatto.

    Da quel momento recuperare l’attenzione sull’attività da svolgere, sembra una vera impresa.

    Scopriremo quali siano i meccanismi alla base dell’attenzione e come gestirli al meglio per massimizzare le nostre performance.


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DIGITALMANTRA - Blog - Crescita personale - Come non farsi paralizzare nel lavoro e nella vita dalle proprie paure - Anteprima

Come non farsi paralizzare nel lavoro e nella vita dalle proprie paure.

La paura fa 90, ma anche 100

Un articolo sulla paura?

Perché mai dovrebbe interessarmi?
Cosa ne potrei mai trarre di utile e importante, ma soprattutto, cosa ci guadagno?

Molto semplice, il vantaggio è…

10
min

DIGITALMANTRA - Blog - Crescita personale - Come non farsi paralizzare nel lavoro e nella vita dalle proprie paure - Dettaglio

Beh, se ve lo dicessimo ora, in effetti, rischieremmo di sollevare domande anziché fornire risposte. Crediamo sia arrivato il momento di affrontare un argomento temuto, un argomento che, almeno in apparenza, tendiamo ad allontanare, dal quale tendiamo a fuggire. È arrivato il momento di iniziare ad esplorare insieme il mondo della paura.

Prima di cominciare, però, ci teniamo a fare un’ultima precisazione, lo scopo di questo articolo è quello di fornirti suggerimenti pratici per la vita di tutti i giorni, suggerimenti volti ad impedire che questa emozione influenzi eccessivamente la tua attività. Di sicuro, la tematica trattata e il mondo ad essa sottesa, non si esauriranno al termine di questo articolo.

indice

  • 1. Il contesto

  • 2. L’anatomia della paura

  • 3. La scienza in pratica

  • 4. Oltre la paura

  • Cosa troverai in questo articolo

    Una serie di suggerimenti pratici, spunti, riflessioni, per cambiare il tuo punto di vista su un’emozione temuta.

  • Cosa non troverai in questo articolo

    Un aiuto psicologico per supportarti, passo dopo passo, nel superamento delle tue paure.

Tutte le doverose e necessarie premesse sono state fatte, ora ci resta solo una cosa da fare: iniziare il nostro viaggio.

1. Il contesto

“Tanto tempo fa,

in una galassia lontana lontana…”

Gli esseri umani del ventunesimo secolo vivevano in un mondo libero da pericoli, dove i progressi della scienza avevano reso “prevedibile” ogni scenario, un mondo nel quale, almeno apparentemente, ogni aspetto della vita poteva definirsi “sotto controllo”.

Poi, arrivò un mese qualunque, di un anno qualunque, destinato a cambiare per sempre la storia dell’umanità. Come un fulmine a ciel sereno, ci siamo scoperti vulnerabili, siamo stati messi di fronte ad uno scenario che non avevamo previsto.

Noi, esseri umani, razza superiore e priva di limiti, ci siamo ritrovati a dover fare i conti con l’imponderabile, a dove affrontare la nostra solitudine e, di conseguenza, le nostre paure più profonde.
Sì, questo è un passaggio che spesso tendiamo a sottovalutare; negli ultimi due anni abbiamo subito una vera e propria sovraesposizione alla paura.

Non è nostra intenzione, in questo momento, analizzare il ruolo dell’informazione, dei media, dei social network, attribuendo loro meriti o colpe. Quello che interessa noi, oggi, è capire quale lezione portarci a casa, quali strumenti aggiungere alla nostra cassetta degli attrezzi, così da poterli usare nella vita di tutti i giorni, ma anche nel nostro business e nella nostra attività.

Noi, animali sociali, abbiamo sviluppato la paura nei confronti del prossimo, abbiamo iniziato a vedere l’altro come una minaccia, un pericolo da allontanare. Questo, inevitabilmente, ha inciso e incide ogni giorno, dentro di noi. Non è un caso che gli ultimi dati rilasciati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), descrivano un aumento del 25% dei casi di depressione e di ansia, soprattutto tra giovani e donne.

Come se non bastasse, proprio quando abbiamo iniziato a vedere la luce in fondo al tunnel, si è manifestata, accanto a noi, un’altra minaccia tipica dei libri di storia del liceo: una nuova guerra.

E allora che si fa?

Quanto incidono pensieri densi di paura, preoccupazione, ansia, timore, sulla nostra vita di tutti i giorni, sulla nostra attività, sul nostro business e sulla nostra serenità?

Se dovessimo calcolare quale sia l’impatto economico della paura sulla nostra performance, a quanto ammonterebbe?

Forse è la prima volta che ci poniamo certe domande, di conseguenza, è anche la prima volta che ci troviamo a dover dare delle risposte.

Partendo dal presupposto che:

  • non possiamo con uno schiocco delle nostre dita, o con il roteare sinuoso di una bacchetta magica, mettere fine a tutto questo e tornare a come era prima

  • Non possiamo decidere quali emozioni provare – sì, esatto, le emozioni ci accadono, non le scegliamo

L’unica cosa da fare è imparare a con-vivere con le nostre paure, senza lasciare che queste ci paralizzino o ci influenzino oltre il necessario. Questo, allo scopo di ottenerne vantaggi misurabili non solo in termini strettamente economici, ma anche di tempo guadagnato.

Come? Scopriamolo insieme.

2. L’anatomia della paura

Potremmo costringervi a ripercorrere secoli di storia, raccontarvi come fossimo in un libro, quali siano state le maggiori scoperte nel mondo delle emozioni, le appassionate dispute, i duelli ospitati dalla scienza. Ma a quale scopo? Questo non è un saggio di neuroscienze, tanto meno un manuale di psicologia, e non ha l’aspirazione di diventare il testo di riferimento per giovani apprendisti esperti della mente.

Proprio per questo motivo, abbiamo deciso di strutturare questa seconda parte in un modo un po’ diverso dal solito, con buona pace degli appassionati di storia della scienza (noi siamo tra questi, condividiamo con i pochi seguaci della materia il disappunto).

Ecco l’idea, vi forniremo una sorta di vocabolario base, uno starter-pack, per potervi orientare nel tanto fantastico, quanto intricato, mondo delle emozioni.

Ovviamente, siete liberi di far sfoggio di questi concetti e delle spiegazioni che troverete con colleghe e colleghi, amiche e amici, soprattutto quado le discussioni iniziano a virare nella direzione delle pseudoscienze.

Iniziamo:

EMOZIONE : ecco, già iniziamo con una definizione difficilissima. Senza rifarci a Treccani o a famosi manuali da tre lettere, vi basti sapere che le emozioni sono processi limitati nel tempo (hanno quindi una durata limitata), durante le quali possiamo notare cambiamenti a livello fisico e psicologico. Potremmo dilungarci enormemente nella descrizione di cosa sia un’emozione, ma rischieremmo di complicare ulteriormente la questione senza che, in questa sede, ce ne sia la necessità. Al momento, tra gli esperti di scienza, la battaglia su COSA SIA un’emozione, è aperta, accesa e senza esclusione di colpi, stiamo a vedere cosa ci riserverà il futuro.

PAURA : è una delle emozioni “universali” insieme a rabbia, felicità, tristezza, sorpresa, disgusto e disprezzo. Ecco, già su questo punto potreste imbattervi in teorie alternative e punti di vista discordanti tra loro. Semplifichiamo la questione dicendo che, la paura, è un’emozione fondamentale per la vita.

Sentiamo l’eco dei vostri pensieri:

Ma come, la paura, fondamentale per la vita?”

Ebbene si, la paura è quell’emozione che proviamo di fronte ad una minaccia, indipendentemente dal fatto che questa sia fisica – mi trovo davanti una leonessa affamata pronta a divorarmi per colazione – o psicologica.

È possibile, e giustificato, che in questo momento ti stia chiedendo a cosa possa servirci la paura. Ottima riflessione, ti chiedo di non avere fretta, un passo alla volta arriveremo insieme alla soluzione di questo complesso enigma.

AMIGDALA : iniziamo ad entrare nella parte più tecnica. L’amigdala è una piccola mandorlina presente nel nostro cervello, contenente circa 12 milioni di neuroni. A voler essere precisi, essendo il nostro cervello diviso in due emisferi, quello destro e quello sinistro, abbiamo due piccole mandorline, quindi due amigdale, ma per comodità ne parleremo al singolare. Perché mai dovrebbe importarci? Fino ai primi dell’Ottocento, nessuno considerò l’amigdala, nessuno se la calcolò minimamente, né tantomeno gli attribuì una particolare funzione. Improvvisamente però, questa assunse un ruolo di primaria importanza. Venne identificata come il centro della paura, l’origine e la causa di una delle emozioni più temute. Senza entrare troppo in bio-discorsi, è importante uscire dalla logica che processi complessi come quelli delle emozioni, possano essere racchiusi in una singola regione cerebrale. L’amigdala ha sicuramente una funzione importante nell’apprendimento della paura, nella generazione della stessa, ma da qui a definirla l’unica regione responsabile del processo, c’è una grande differenza.

PAURE INNATE O EVOLUTE : se ti dicessi di chiudere gli occhi e di immaginarti davanti ad un enorme serpente o ragno, è molto probabile che la primissima reazione, sia proprio di paura. Molti scienziati, non tutti ad essere sinceri, ritengono che nonostante al giorno d’oggi questi animali non rappresentino minacce mortali nella maggior parte dei casi e sotto controllo, la paura nei loro confronti sia scritta nel nostro codice genetico. Parliamo quindi di paure innate. Questo perché i nostri antenati hanno dovuto combattere con questi animali, vedendo così la loro vita minacciata.

3. La scienza in pratica

Dopo queste premesse relative a termini e concetti, siamo in grado di orientarci, più o meno agevolmente, nei primi passi del labirinto delle emozioni. Ci manca solo una cosa da sapere per completare il nostro set base, una cosa talmente importante da meritarsi una sezione tutta per sé.

Prima di poter partire, infatti, è necessario rispondere ad un’ulteriore domanda:

“A cosa ci serve la paura?”

E subito dopo:

“Saperlo, come ci aiuta nel nostro lavoro?”

Domande lecite, domande profonde e molto mirate, alle quali cercheremo di rispondere a modo nostro, in maniera diretta e lineare, dritti al punto.

La paura ci serve ad evitare le minacce.

Se il nostro sistema corpo-mente non fosse dotato dell’asso nella manica della paura, probabilmente, la razza umana sarebbe già estinta da molto tempo!

La paura è quell’emozione che ci ha aiutato a sopravvivere, è quell’emozione che ci ha avvertito del pericolo imminente e ci ha permesso di fuggire.

Mai sentito parlare di reazione “attacco-fuga”? Ecco, questa è una reazione che, come è facile intuire dal nome, ci permette, davanti ad una minaccia, di fuggire o, in alternativa, di combattere, innescando ulteriori processi e reazioni.

Ad essere sinceri, la reazione di attacco, intesa come risposta alla minaccia, o fuga, intesa come allontanamento dalla stessa, non sono le uniche che, più o meno consapevolmente, mettiamo in atto.

Hai mai notato le reazioni di alcuni cani davanti ad un apparente pericolo?

Rimangono immobili, come se fossero stati improvvisamente congelati, come a mimetizzarsi ed evitare ciò che hanno percepito come una minaccia.

Il “freezing” è un’altra tipologia di reazione che manifestiamo, anche noi umani, in caso di paura.

In sintesi, siamo programmati per difenderci da qualcuno o qualcosa che rappresenti una minaccia nei nostri confronti, ci siamo evoluti per accorgerci il prima possibile della minaccia, evitarla e reagire, perpetuando così la nostra specie.

Lo avresti mai detto? Ammettilo, stai iniziando a cambiare idea sulla paura. Non è poi così male, in fondo.

Apparentemente sembra un programma perfetto, minaccia-paura-risoluzione, nulla può andare storto. Purtroppo, non è tutto così semplice; possiamo provare una forte paura anche quando NON siamo in presenza di una minaccia.

La paura, reale o immaginata, rischia di compromettere le nostre performance, di bloccarci, paralizzarci. Come accennato in apertura di articolo, veniamo da anni complessi, continuamente esposti al pericolo (giustificato) del contagio e della guerra, siamo stati letteralmente assediati da notizie di varia natura, numeri, diagnosi, tabelle, mappe, senza preoccuparci minimamente dell’effetto che queste avrebbero potuto avere su di noi, sul nostro vivere e, anche, sul nostro rendimento.

Quindi cosa possiamo fare, in concreto, per superare o, magari, iniziare ad approcciare le nostre paure e impedire che queste condizionino negativamente la nostra vita personale e professionale?

CONSIGLIO PRATICO :

affronta le tue paure, un passo alla volta

Facciamo qualche esempio pratico. Parlare in pubblico (se non hai ancora letto l’articolo dedicato ai webinar lo puoi recuperare qui) è una delle maggiori paure dell’essere umano. La minaccia di una potenziale perdita di dignità, in seguito ad una possibile brutta figura in pubblico, genera un grande carico di paura.

Chiunque, almeno una volta nella vita, si è sentito dire che, al fine di superare questo tipo di difficoltà, sarebbe stato sufficiente immaginarsi le persone in platea senza vestiti, magari in bagno.

Pensi sia uno scherzo?

Purtroppo, non è così. A scanso di equivoci, la risposta è NO! Strategia bocciata! Il suggerimento è quello di procedere un passo alla volta, step-by-step se siete amanti degli inglesismi, passando da una platea molto piccola a eventi sempre più numerosi. Nessun grande oratore ha esordito con i TedTalks, facendo discorsi davanti a migliaia di persone o avendo come primo pubblico il board della propria azienda al completo.

Non avere fretta, datti il tempo di adattarti e di superare le difficoltà.

Questa strategia è valida per molti scenari: non riusciamo a far valere le nostre ragioni durante la riunione commerciale del lunedì mattina, temiamo la figura del nostro capo in quanto autoritaria e poco incline all’empatia, abbiamo perso fiducia in noi stessi dopo una presentazione andata male.

Individua l’unità minima; suddividi lo spazio che ti separa dalla tua paura in tante piccole tappe e affrontale, un passo alla volta. Una volta acquisita la tecnica necessaria e la giusta consapevolezza per poter proseguire, passa allo step successivo.

Ti sembra troppo onerosa in termini di tempo? In realtà, è esattamente il contrario.

Rimanere bloccati, freezzati, rischia di avere impatti rilevanti sul nostro rendimento, al contrario, lavorare sulle nostre paure, oltre ad un innegabile beneficio per il nostro benessere psicologico, può avere impatti rilevanti sulle nostre performance e sul tempo a nostra disposizione!

4. Oltre la paura

Pensavi davvero che ti avremmo fatto andare via senza prima introdurre un nostro cavallo di battaglia?

Il nostro cervello, per quanto a volte tenda a giocarci dei sinistri tranelli, rimane sempre lo strumento più formidabile che sia attualmente presente nell’universo conosciuto. Troppo spesso lo abbiamo visto affiancato all’immagine del computer, in realtà, per quanto lo si conosca ancora poco, questo risulta essere imparagonabilmente superiore a qualsiasi macchina mai ideata dall’essere umano.

Siamo pronti ad additarlo come responsabile di tutte le nostre ansie, delle nostre paure e frustrazioni, ma non siamo altrettanto pronti a sfruttarlo a dovere per recuperare il nostro baricentro e per abbassare il volume del frenetico mondo in cui viviamo.  

Come possiamo rallentare?

Una tecnica di estrema efficacia è, senza dubbio, quella della meditazione trascendentale. Per noi, un vero e proprio valore, prima ancora che uno strumento utile nelle nostre vite.

Grazie ad essa, siamo in grado di fermarci, focalizzarci su elementi troppo spesso dati per scontato: il nostro respiro, per esempio, ma anche sensazioni corporee dimenticate, anestetizzate dalla rincorsa frenetica e senza fine di una felicità illusoria.

Ponendo l’attenzione sul nostro respiro, recuperando la consapevolezza del momento presente, possiamo calmare i nostri pensieri e ritrovare equilibrio in un momento particolarmente stressante.

Ma non è tutto.

Una pratica costante ci consente di modificare il nostro cervello. Sì, hai capito bene. Possiamo modificare la sua struttura, le dimensioni di alcune sue componenti, incidendo sulle nostre modalità di reazione agli eventi di tutti i giorni.

Ti sembra fantascienza? Questo non è che l’inizio, il meglio deve ancora venire!

Continua con noi il viaggio nel mondo della crescita personale e scoprirai come tutto questo sia possibile e realizzabile.

Bibliografia consigliata:
Dingman Marc – Le dieci stanze del cervello
Davidson Richard – La vita emotiva del cervello

Articoli citati:
https://unric.org/it/oms-covid-19-aumenta-del-25-i-casi-di-ansia-e-depressione/


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