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Come essere in grado di gestire e mantenere alto il livello di attenzione.

Multitasking? NO GRAZIE.

Sei in grado di gestire la tua attenzione e arrivare in fondo all’articolo senza distrarti? DIMOSTRACELO!

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Sei al computer, hai appena finito una delle interminabili (e francamente non troppo utili) call di allineamento per il progetto di questo trimestre.

Guardi il calendario della giornata e hai schedulate altre tre videochiamate, infinite, le forze iniziano a mancare.

Ti fai coraggio, hai un’ora di tempo tra una riunione online e l’altra; decidi, senza troppi indugi, di rispondere a quell’email importante che hai contrassegnato nell’inbox, non vuoi rischiare di dimenticartela nell’infinito buco nero della tua posta in entrata.

Inizi con l’attacco della risposta, hai le idee chiare, ma neanche troppo, fai ordine mentale e decidi di rispondere per punti – grande idea.

Alla terza riga, SQUILLA IL TELEFONO, è il tuo collega, ti chiede di aggiornarlo sulla riunione appena terminata e alla quale non è riuscito a partecipare. Cerchi di liquidare il tutto senza troppi dettagli, anche perché, non c’è molto da raccontare. Chiudi la telefonata e ti rimetti subito al lavoro sulla mail, fai un po’ fatica a riprendere il filo del discorso, l’afa di questi giorni non ti aiuta nel difficile compito. Dopo un primo momento di difficoltà, riprendi il filo e sembra che tutto proceda liscio fino quando, ti arriva un messaggio su WhatsApp.

Arriva da casa, una foto del cane posizionato esattamente davanti all’aria condizionata. Ti fai una sana risata, rispondi rapidamente e ti rimetti subito sull’email. Sei quasi arrivato in fondo, senti però la necessità di rileggerla, è una mail importante, meglio evitare di fare brutte figure, all’improvviso, notifica di Instagram. Decidi di ignorarla, ma ormai il pensiero è andato, legato a quell’icona colorata, contemporaneamente l’allert di twitter ci segnala l’ultimo messaggio del Ministero della Difesa (è bello sentirsi informati in ogni secondo).

Provi a rimetterti sull’email per verificarne l’efficacia quando senti il suono, ripetitivo e poco allettante, dell’inizio della videochiamata. Grande sospiro e rispondi.

Risultato: in un’ora hai ragguagliato un collega su una videochiamata senza alcun tipo di urgenza, hai visto il tuo cane, sereno e beato, davanti al getto dell’aria condizionata (e l’hai anche invidiato parecchio), hai riso su un meme di Instagram e hai letto distrattamente un tweet sulla situazione italiana. Detta in questi termini, sembra esser stata un’ora molto produttiva, peccato che tu non abbia ancora inviato l’e-mail di risposta.

indice
  • 1. Il mito del multitasking – una cosa alla volta

  • 2. L’attivazione della regola

  • 3. Il paradosso moderno: faro e serbatoio

  • 4. Cosa fare? Da Napoleone a WhatsApp

1. Il mito del multitasking – una cosa alla volta

Quante volte, dai tuoi capi o dai tuoi diretti superiori e colleghi, ti è capitato di sentire queste parole:

“È importante essere un po’ multitasking…”

Oppure:

Devi saper fare più cose contemporaneamente, i tempi sono cambiati, non abbiamo più tempo da perdere, mi serviva per ieri!

Al di là della visione discutibile del concetto di “tempo”, bistrattato, dato per scontato, quasi snobbato; ciò che ci interessa realmente affrontare in questo articolo è il mito del multitasking.

Per farlo, dovremo rispondere ad una semplice domanda. Sempre parlando in termini scientifici, il cervello umano è in grado di compiere più azioni contemporaneamente?

Prima di proseguire, è necessaria una premessa.
C’è una differenza a dir poco sostanziale tra:

  • svolgere più compiti insieme

  • prestare attenzione

Come riportato da John Medina, biologo molecolare direttore del Brain Center for Applied Learning Research di Seattle e professore di Bioingegneria all’università di medicina di Washington, nel suo libro “Il Cervello: istruzioni per l’uso”, il nostro cervello è in grado di permetterci di svolgere più COMPITI contemporaneamente. Per esempio, il nostro cervello ci permette di suonare strumenti musicali muovendo diversamente le due mani e leggendo al tempo stesso lo spartito. Oppure, possiamo correre e chiacchierare, nello stesso istante tutte le funzioni vitali del nostro corpo saranno regolate senza l’intervento della nostra volontà.

Quindi il cervello è multitasking?

Apparentemente potrebbe sembrare, ma quando si parla di ATTENZIONE, i concetti sono analizzati IN SEQUENZA. Non siamo in grado di splittare il nostro potenziale attentivo.

Quello che cerchiamo di fare ogni giorno, in sostanza, è di imporre ad un organo che agisce in modo sequenziale, più attività contemporanee, cercando di costringerlo ad andare contro la sua natura, contro il suo funzionamento.

Ora capite perché è una pessima idea guidare usando il cellulare?

Ristrutturando le nostre credenze, allora, come potremmo definire il tanto ricercato multitasking, se in realtà neanche esiste? Beh, più che un multitasking, dovremmo parlare di un “cambio/alternanza/variazione di task”, alcuni lo definiscono “Task-Switching”, quindi il nostro cervello non focalizzerà l’attenzione su compiti differenti, ma in realtà passerà rapidamente da uno all’altro, con tutti i rischi connessi a tale attività, come vedremo tra poco.

Pur sapendo che questo va ad influire negativamente sulle nostre performance, perché continuiamo ad ostinarci nella tanto fallimentare pratica del multitasking? Perché in fondo in fondo, ma neanche così tanto in profondità, ci piace!

L’idea di sentirci un po’ dei supereroi pronti a risolvere qualsiasi compito ci venga richiesto nel minor tempo possibile, l’immagine di noi stessi sopraffatti dal lavoro ma, al tempo stesso, in grado di districarci in mezzo a mille difficoltà raggiungendo l’obiettivo e, non per ultimo, la possibilità di pronunciare una delle seguenti frasi:

“Sono oberato di lavoro! 

Oppure:

“Sono sott’acqua in questo momento! 

O ancora:

“Non ho neanche uno slot libero per respirare! 

(Vi invitiamo a condividere con noi le frasi più divertenti e fantasiose che avete sentito o inventato).

Tutto ciò, ci fa sentire realmente importanti.

Insomma, ci piace sentirci impegnati, apparire impegnati, essere impegnati e metterci al lavoro per districarci nelle difficoltà, ovviamente, senza un piano e facendo tutto insieme.

Ma quali sono i rischi di questo comportamento per la nostra produttività? 

  • Cosa ho appreso:

    Il cervello non è multitasking, in realtà passa rapidamente da un’attività all’altra.

  • Falsi miti:

    Siamo paragonabili ai robot, possiamo focalizzare la nostra attenzione su più compiti contemporaneamente senza il rischio di impattare negativamente sulla performance.

2. L’attivazione della regola

Tutto molto bello, tutto molto istruttivo e anche interessante, ma per quale motivo dovrei iniziare a comportarmi diversamente?

Ci sono realmente degli impatti sulle nostre performance?

Se vi dicessimo semplicemente di sì, non ci credereste. Crediamo sia decisamente più efficace fare un breve tour all’interno del nostro cervello, per potervi raccontare nel dettaglio quali siano i rischi legati alla performance. Per farlo, utilizzeremo le parole del suddetto professor Medina.

Immaginiamo di trovarci nella condizione di dover scrivere un’e-mail importante, come all’inizio dell’articolo.

Ci sediamo alla nostra scrivania, accendiamo il computer e ci prepariamo a scrivere.

Affinché questo sia possibile, il sangue deve affluire alla corteccia prefrontale anteriore (zona del cervello appartenente al sistema esecutivo e che, come riportato nel libro citato è assimilabile ad una centralina di comando).

La nostra centralina di comando si attiva iniziando a comunicare lo spostamento dell’attenzione sul compito di SCRIVERE L’EMAIL.

A questo punto, entriamo in una nuova fase, quella dell’ATTIVAZIONE DELLA REGOLA.

Cosa significa? È presto detto.

Quando la corteccia invia l’allerta di cui sopra, tale allerta contiene all’interno un vero e proprio messaggio, diviso in due fasi.

La prima fase, necessaria per poterci concentrare sull’email da scrivere, va a ricercare una serie di neuroni che siano in grado di compiere questo compito di scrittura. In altre parole, è come se venisse effettuato un casting per reclutare gli attori più calzanti.

Una volta raccolti i neuroni adatti, è necessario attivarli, per far sì che ci permettano di iniziare a compiere l’azione specifica, nel nostro caso, scrivere l’e-mail.

Avete notato quante attività devono realizzarsi prima di mettere in atto il comportamento? Tutto questo avviene senza una vera e propria coscienza. Ci teniamo anche a ricordare un altro dettaglio, tutto questo avviene in diversi decimi di secondo, solo dopo iniziamo a mettere in atto l’azione.

Fino a qui, abbiamo descritto cosa deve avvenire nel nostro cervello per permetterci di compiere determinate azioni. Ora arriva il bello.

Cosa succede se, malauguratamente, abbiamo lasciato il telefono accanto al computer e ci arriva un messaggio?

Apparentemente, nulla di grave o importante, tendiamo a spostare gli occhi sul cellulare, controlliamo l’entità del messaggio, magari rispondiamo rapidamente e poi torniamo a scrivere l’e-mail.

In realtà, quello che deve accadere è ben più complesso, e ormai, dovremmo avere anche un’idea di cosa stia avvenendo. Quando uno stimolo come un messaggio irradia i nostri sensi, automaticamente, nel nostro cervello, dovrà ripetersi nuovamente tutto il processo descritto per poterci permettere di rispondere.

In altre parole, deve attivarsi una nuova regola, da capo. Verrà inviato un nuovo messaggio, sempre diviso in due, per reclutare i neuroni adatti a rispondere al messaggio e per attivarli.

Tutti questi passaggi verranno effettuati IN SEQUENZA, non contemporaneamente come abbiamo sempre pensato.

Ecco spiegato il motivo per il quale… NON POSSIAMO SVOLGERE DIVERSI COMPITI CONTEMPORANEAMENTE.

Come, tutto questo, può impattare sulla nostra performance ed efficacia?

Semplice, ogni volta che ci troviamo a dover “attivare una nuova regola”, ci auto-poniamo nelle condizioni di iniziare nuovamente tutto il lavoro dall’inizio. Questo significa che le probabilità di compiere errori raddoppiano, triplicano e così via, in base al numero di distrazioni ricevute.

Oltre ad un tema di minor precisione nel lavoro svolto, un altro paradosso è quello legato al tempo. Questo perché, ogni volta che ci concentriamo su un’attività differente da quella che stiamo svolgendo, perdiamo inesorabilmente tempo, così come quando tentiamo di ri-concentrarci sul compito precedente.

  • Cosa ho appreso:

    Ogni volta che inizio a concentrarmi su una nuova attività, il processo necessario per portare a termine la nuova attività deve ricominciare da zero, con un impatto significativo in termini di performance e tempo.

  • Falsi miti:

    Fare più cose “contemporaneamente” ci permette di risparmiare tempo e massimizzare le nostre performance.

3. Il paradosso moderno: faro e serbatoio

È paradossale, quindi, che per essere maggiormente produttivi ci venga chiesto di essere multitasking, quando in realtà, l’esserlo, ci rende decisamente MENO produttivi e ci impone un maggior dispendio di tempo ed energie per portare a termine i nostri compiti.

Oltre al mero funzionamento cerebrale del processo dell’attenzione, è importante anche soffermarci su altri due punti.

Per farlo, utilizzeremo due immagini.

La prima, è quella di un FARO.

Esatto, come quello dei romanzi gialli, immagina un alto faro bianco su una scogliera.

Una delle prime caratteristiche del faro che ci vengono in mente, è la sua luce. Nella notte, specialmente con piaggia o tempesta, questa è accesa e gira costantemente al fine di segnalare la presenza della terra alle navi in arrivo.

Ecco, immaginatevi l’attenzione come la luce di un faro. Questa è in grado di illuminare solo una porzione di ciò che ci circonda, non tutto l’insieme. Quando spostiamo l’attenzione da un’attività ad un’altra, la luce si sposta di conseguenza illuminando ciò che ci stiamo accingendo ad effettuare.

La seconda immagine che vogliamo condividere con voi è quella del SERBATOIO.

Sì, esatto, il serbatoio, come quello dell’auto.

Questo perché, come ricordato più in alto, ci piace sentirci dei supereroi e, di conseguenza, dotati di super poteri. In realtà, dobbiamo sempre ricordarci di essere straordinari, ma pur sempre umani.

Cosa c’entra tutto questo con l’attenzione?

Sono concetti strettamente collegati; quando pensiamo alla nostra capacità di attenzione, tendiamo a sopravvalutare le nostre abilità e le nostre energie.

Immaginiamo di avere un serbatoio e che questo si riempia ogni notte. Talvolta, potrebbe capitare che questo non sia proprio pieno, magari abbiamo dormito male oppure è stata una notte travagliata, e per questo motivo non è particolarmente carico.

Ogni volta che focalizziamo la nostra attenzione pienamente su un compito, il serbatoio inizia a svuotarsi, fino a raggiungere il termine.

Ricorda sempre questa immagine e la lezione ad essa connessa: l’attenzione è LIMITATA. Non siamo in grado di rimanere concentrati per 18 ore ogni giorno, in modo continuativo e senza interruzioni.

Ecco i tre punti essenziali analizzati, ti saranno molto utili per massimizzare le tue performance:

  1. Non siamo multitasking
  2. Possiamo “illuminare” solo una porzione limitata intorno a noi
  3. Dosa attentamente la tua attenzione nel corso della giornata
  • Cosa ho appreso:

    La nostra attenzione è paragonabile ad un faro, illumina ciò su cui siamo concentrati. Inoltre, è necessario dosare la nostra attenzione per evitare di finire il serbatoio proprio quando ne ho più bisogno.

  • Falsi miti:

    L’attenzione è infinita, posso rimanere concentrato tutta la giornata senza prendermi delle pause, la performance non ne sarà impattata.

4. Cosa fare? Da Napoleone a WhatsApp

Abbiamo visto cosa succede nel nostro cervello quando vogliamo focalizzarci su un’attività, abbiamo visto per quale motivo sarebbe meglio evitare di continuare a “distrarci o farci distrarre” da altri compiti-attività-richieste e quale sia l’impatto sulla nostra produttività, ora è importante capire cosa fare in pratica per evitare che questo accada.

Innanzitutto, non scoprirete di sicuro l’acqua calda in questo momento, gli smartphone sono dei nemici implacabili per la nostra attenzione.

WhatsApp, Instagram, Twitter, Facebook, TikTok, Youtube, Snapchat e chi più ne ha, più ne metta. Sommiamo anche il fatto che ormai sia (quasi) impossibile essere IRRAGGIUNGIBILI – ma quanto è bello esserlo in rari e sporadici momenti- ecco qui che la possibilità di focalizzarci realmente, per un tempo prolungato, su una stessa attività, è paragonabile ad una delle fatiche del famoso Eracle greco.

Cosa possiamo fare per evitare di farci inglobare da questo circolo vizioso?

Ci sono svariate tecniche, idee, strategie possibili e utilizzabili in questo campo, noi ne citeremo solo alcune:

1. Modalità focus sullo smartphone

Ormai, quasi tutti i dispositivi elettronici, consapevoli (forse) del potere talvolta autodistruttivo che hanno sui loro utilizzatori, posseggono una modalità “focus”, fondamentale durante i momenti di massima concentrazione. Queste modalità possono essere attivate e disattivate rapidamente e consentono di impedire totalmente o parzialmente l’arrivo di notifiche dalle diverse applicazioni oltre che chiamate, mail ecc.

Inoltre, è consigliabile, soprattutto nei momenti dove necessitiamo di massima attenzione nella nostra attività, tenere i dispositivi LONTANI dalla nostra postazione di lavoro. Ciò significa che non devono trovarsi sulla scrivania o nelle vicinanze poiché la loro presenza, rappresenta di per sé una fonte di distrazione.

2.Stabilisci i “momenti”

Avrai sicuramente sentito parlare delle To-Do-List o liste delle cose da fare. Ci sono grandi fan, veri sostenitori di queste modalità, e molti haters, ormai il gergo social si è diffuso capillarmente. Al di là del fatto che tu sia un seguace o meno della lista di cose da fare, è importante il concetto che ne sta alla base, concetto che riprenderemo anche qui, in un’ottica un po’ diversa e con il nome di “momenti”.

È importante selezionare i “momenti” nei quali svolgere determinate attività: lettura e risposta alle e-mail, stesura dell’articolo per la prossima scadenza, realizzazione della presentazione in PowerPoint per la riunione di lunedì, pausa relax, spuntino, camminata, attività fisica.

Questo ci aiuterà a sconfiggere la naturale “compulsività” insita nei nostri comportamenti in questa epoca 4.0 o 5 o 6, chissà a che numero siamo arrivati.

Senza un po’ di disciplina nella scelta e nel rispetto dei singoli “momenti”, ci ritroveremo a “scrollare” le e-mail ogni 15 minuti, nella spasmodica attesa del suono dell’inbox, ormai divenuto un incubo.

3. Valutazione delle priorità e delle urgenze

Quante volte ci capita di ricevere, tendenzialmente all’ultimo secondo, richieste che scalano la classifica delle nostre priorità, portandoci ad interrompere quello che stavamo facendo per concentrarci sul nuovo arrivo? Questo non dovrebbe capitare, o meglio, può capitare che ci siano delle reali urgenze, può anche capitare che queste urgenze scalino la lista delle nostre priorità collocandosi in vetta, d’altra parte, sono pur sempre URGENZE.

Ma cosa succede quando tutto diventa un’urgenza? Semplice, nessuna lo è più davvero.

Ebbene, tempo fa, ci siamo imbattuti, nel mirabolante mondo del web, in uno dei tantissimi video di Marco Montemagno, in particolare, un video sulla procrastinazione.

Monty, nei quattro minuti e mezzo del suo video, analizza il tema della procrastinazione citando una figura storica di una certa rilevanza: NAPOLEONE.

Avete capito bene, Napoleone Bonaparte, l’originale. Vi starete chiedendo che cosa possa centrare mai Napoleone con la procrastinazione, ve lo spieghiamo subito.

Napoleone aveva due regole per gestire le richieste in entrata, ed essendo un imperatore, è probabile che avesse giusto un paio di cose a cui pensare. Le regole auree potremmo dividerle in questo modo:

A – Notizie pervenute durante il sonno
In caso di notizia positiva, bisognava lasciarlo riposare beatamente. Solo in caso di notizia negativa, allora, bisognava svegliarlo immediatamente per permettergli di gestire la situazione.

B – Lettere pervenute
L’equivalente delle mail o dei WhatsApp di oggi.
In questo caso, invece, le lettere venivano lasciate per ben tre settimane CHIUSE.

I motivi sono essenzialmente due.
Da un lato, se ci fosse stata una notizia veramente importante, questa lo avrebbe raggiunto in altro modo, dato il carattere di urgenza. Vale quindi il principio: se è una notizia davvero importante, troverà il modo di raggiungerci.
Dall’altro, invece, tutte quelle richieste NON realmente urgenti, si sarebbero risolte spontaneamente senza l’intervento dell’imperatore.

Tecnica giusta o sbagliata? A voi l’ardua sentenza.

Al di là della validità storica del racconto e della sua attendibilità, ciò che ci teniamo a sottolineare è una valutazione OGGETTIVA del carattere di urgenza delle richieste pervenute. Il metro per valutarne l’importanza e l’urgenza, infatti, non deve e non può essere il momento in cui sono giunte a voi.

Effettuate una valutazione attenta e ponderata della situazione e, magari, lasciate che quelle di minor conto, si vadano a risolvere spontaneamente.

  • Cosa ho appreso:

    Non tutto ciò che ci accade è realmente urgente. Dobbiamo imparare a valutare il carattere delle richieste pervenute e utilizzare la tecnologia a nostro vantaggio, nello specifico, aiutandoci a rimanere concentrati su ciò che stiamo portando a termine.

  • Falsi miti:

    Viviamo nella società dell’urgenza. Prima risolvo i problemi, meglio sarò percepito all’esterno.

Ormai non avete più scuse, conoscete i meccanismi alla base del funzionamento dell’attenzione e qualche tips per poterla massimizzare in funzione del raggiungimento di prestazioni migliori.

Vi resta solo una cosa da fare…

Provare!

Solo un’ultima info prima di lasciarvi, vi capita mai di pensare che la vostra memoria sia assolutamente scadente? Gli esseri umani adorano definirsi dei pessimi memorizzatori, chissà perché.

Restate connessi perché il prossimo articolo parlerà proprio della MEMORIA, i suoi segreti, il suo funzionamento e anche qualche falso mito da sfatare.

Iniziamo subito con una massima, aspettate, com’era? Ah si certo:

“È tutta questione di METODO!”

A presto!


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DIGITALMANTRA - Blog - Adv Online FB Ads Vs Google Ads - Anteprima

Facebook Ads o Google Ads: quale scegliere?

Come scegliere la piattaforma giusta per il tuo advertising.

In realtà, non esiste una risposta univoca e assoluta. La domanda che dovresti davvero porti è: quale dei due canali è più efficace per raggiungere i miei obiettivi? E anche in questo caso, non esiste bianco o nero perché ci sono svariati aspetti da prendere in considerazione quando si parla di attività online – tra cui l’advertising.

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DIGITALMANTRA - Blog - Adv Online - FB Ads Vs Google Ads -dettaglio articolo

In questo articolo vediamo insieme dove serve concentrare le energie per promuovere la tua attività, senza perdere tempo e budget!

indice
  • 1. Cosa devi sapere prima di iniziare

  • 2. Le differenze tra le due piattaforme

  • 3. Tipologie di annunci ed esempi di utilizzo per i business

  • 4. Conclusione: quale piattaforma scegliere

1. Cosa devi sapere prima di iniziare

Thich Nhat Hanh (monaco buddista) dice che: «Meditare è guardare in profondità nel cuore delle cose». Allo stesso modo, prima di pianificare una strategia di advertising, bisogna approfondire questi punti:

  • da dove arrivano i tuoi clienti, ovvero quale canale genera più traffico di qualità;

  • se i tuoi potenziali clienti cercano, sui motori di ricerca, il prodotto o il servizio che vuoi proporre;

  • se il target a cui ti rivolgi è definito e sai chi sono le tue buyer personas

  • come si comporta online il tuo target, quali sono le sue abitudini e preferenze per intercettarlo lì dove si trova e senza disturbarlo – altrimenti risultiamo invadenti e non utili per le sue necessità;

  • che budget, sia monetario sia di tempo, hai a disposizione per creare la strategia e ottenere abbastanza dati per fare le dovute valutazioni, tenuto conto che ogni campagna è un investimento, non una spesa.

2. Le differenze tra le due piattaforme

Dopo aver analizzato gli elementi di base e aver scalfito la superficie per buttarsi nella pubblicità online, per poter scegliere la piattaforma giusta per la tua strategia di advertising, è importante conoscere le differenze tra Facebook ADS e Google Ads.

Non sono concorrenti, ma due strumenti che agiscono con meccanismi e scopi diversi. Si può dire, per semplificare, che Google AdWords ti aiuta a trovare clienti, mentre Facebook Ads aiuta i clienti a trovare te. Ciò è possibile grazie alle caratteristiche intrinseche dell’una e dell’altra piattaforma:

  • con Google Ads gli inserzionisti investono sulle parole chiave e pagano ad ogni click che gli utenti effettuano sull’annuncio corrispondente alla loro ricerca;

  • con Facebook Ads non si ragiona su chiavi di ricerca, bensì su interessi e specifiche demografiche degli utenti.

Per fare chiarezza, introduciamo due concetti fondamentali per capire come impostare una strategia di advertising con Google Ads e Facebook Ads, ovvero quelli di traffico attivo e traffico passivo:

  • il primo, il traffico attivo, è rappresentato da chi naviga sui motori di ricerca per trovare risposta a domande o bisogni specifici. L’utente dunque in questo caso è già consapevole e sarà disposto a dare fiducia a chi fornirà la risposta più in linea con le parole chiave digitate.

  • il secondo, il traffico passivo, è rappresentato da un’audience di utenti che in passato hanno mostrato interesse per un argomento riconducibile a prodotti e servizi offerti dalla nostra azienda. Per intercettare questa domanda potenziale, possiamo avvalerci di creatività (immagini, video, animazioni e testi) in grado risvegliare gli interessi espressi in precedenza, trasformandoli in desideri.

3. Tipologie di annunci ed esempi di utilizzo per i business

Gli strumenti che Facebook e Google Ads mettono a disposizione sono diversi e ciascuno di essi permette di raggiungere il potenziale cliente in varie fasi del suo customer journey. Così è possibile sfruttare sia il traffico attivo che quello passivo e rispondere sia alla domanda consapevole che a quella latente.

Le tipologie di annunci (video, foto, catalogo prodotti, di testo) e di posizionamenti (Facebook, Instagram, Audience Network, YouTube, Google Display, Google Shopping, Google Search) possono essere utilizzate in fasi differenti del funnel di acquisizione di un cliente. Soprattutto a partire dal momento in cui non conosce ancora il brand, fino ad arrivare a un’azione di conversione – che può essere la compilazione di un form o un acquisto.

Facciamo alcuni esempi, proviamo ad immaginare un paio di scenari nei quali ricorrere a Google e a Facebook Ads per la pubblicità online di un business che vende tappetini da yoga. Siamo un po’ di parte, dal momento che vengono utilizzati anche per meditare, ma è un riferimento pratico, attendibile e attuale: nel corso del 2020, lo stop forzato dovuto alla pandemia ha aumentato la richiesta di prodotti collegati agli sport praticabili in casa, che combinano benessere fisico con equilibrio psicologico – come lo yoga, appunto.

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Incremento delle ricerche collegate a “tappetino da yoga” negli ultimi 5 anni.

Visualizziamo una piccola azienda, ancora poco nota, che vende tappetini da yoga. Quando un brand è nuovo, è difficile che gli utenti lo cerchino su Google con il nome per esteso. È più probabile che effettuino ricerche per prodotti simili a quelli offerti dall’azienda, ad esempio: “tappetino da yoga”, “tappetino da pilates”, “tappetino da meditazione”.

C’è, quindi, una domanda consapevole che possiamo intercettare ricorrendo a una campagna Google sulla Rete di Ricerca e a una campagna Shopping in caso di e-commerce e grazie all’utilizzo delle keywords.

Mostrare prodotti e servizi che rispondano in maniera precisa alle ricerche degli utenti e risolvano i loro problemi è, senza dubbio, il maggior vantaggio di Google.

Tuttavia, ci sono anche altri utenti che potrebbero avere le stesse necessità di chi effettua una ricerca su Google e ancora non l’hanno svolta, magari sono indecisi sull’iniziare o meno uno sport casalingo o se cimentarsi nella meditazione. In questo caso, è possibile e dobbiamo raggiungerli altrove: su Facebook, Instagram o sui loro siti web preferiti (Audience Network).

Ricorriamo a Facebook Ads per sfruttare gli interessi degli utenti e far conoscere il brand, di conseguenza innescare un interesse latente. Facebook ha una banca dati enorme, sarebbe un errore non attingervi e non sfruttarla per presentare il tuo brand a chi è più predisposto a fare la tua conoscenza, prima dei competitor o al posto dei soliti grandi marchi.

Inoltre, per scegliere su quale piattaforma investire, bisogna valutare:

  • quale ads, se Facebook o Google, costa di più in relazione al nostro obiettivo di marketing, dopo averlo individuato e distinto dall’obiettivo di business – perché, dobbiamo dirtelo, non esistono campagne direttamente impostate su “voglio fare più soldi”, è un percorso;

  • quali sono i volumi di ricerca delle parole chiave per noi rilevanti, se sono bassi o alti, per verificare che la domanda consapevole sia consistente e valga la pena investirci per ottenere dei risultati soddisfacenti;

  • quanta competizione c’è nelle aste per apparire tra i primi risultati della SERP di Google, così da evitare di spendere budget per guadagnare poche posizioni;

  • quanta creatività è necessaria per realizzare inserzioni di Facebook che catturino l’interesse degli utenti meglio dei competitor – per fortuna Facebook Ads permette di realizzare degli A/B Test che aiutano nell’ottimizzazione degli annunci.

Dobbiamo ammettere che Google Ads, sebbene sia conosciuto in particolare per le campagne pubblicitarie sulla rete di ricerca, si è evoluto tantissimo negli ultimi anni e perciò non è più del tutto corretto associare Google Ads alla domanda consapevole e Facebook Ads alla domanda latente. Le opzioni avanzate messe a disposizione da Google Ads permettono di rispondere anche alla domanda latente attraverso campagne Display e Discovery, YouTube e Gmail.D’altra parte, pure Facebook ha affinato le proprie tecniche di profilazione.

Ormai è possibile non solo definire il pubblico in base a criteri come età, interessi e area geografica, ma anche contattare nuovamente le persone che hanno interagito con la tua azienda online o offline e raggiungere nuove persone i cui interessi sono simili a quelli dei tuoi clienti migliori, grazie a pubblici personalizzati e pubblici simili, a pixel, API e alla possibilità di caricare la propria lista contatti in Gestione Inserzioni di Facebook.

4. Conclusione: quale piattaforma scegliere

Dunque, quale piattaforma scegliere tra Facebook Ads o Google Ads? A questo punto, dopo tutto quello che ci siamo detti, fare riferimento solo a uno strumento può essere rischioso e controproducente. E siamo d’accordo sul concludere che l’unico modo, per decidere quale piattaforma sia quella giusta, è quello di concentrarsi sul proprio business, di studiare il proprio target e di sfruttare i mezzi messi a disposizione dal mondo digitale.

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